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lunedì 27 maggio 2013

Vent'anni fa una notte

Vent'anni fa avevo vent'anni di meno, truismo malinconico e sofferto. Vivevo a Firenze e l'amavo, tanto e forse più di quanto oggi la detesti. Abitavo in una casa antica, nobile e popolana, arrampicata su un palazzo quattrocentesco che faceva angolo con Piazza della Signoria. Per arrivarci, centocinquanta alti scalini di pietra. Andavo a far la spesa con uno zaino Invicta Nord rosso da 90 litri  una volta alla settimana. Cosa fare della vita - pur non essendo già più giovanissimo - non lo sapevo ancora, anche se in questo almeno non sono cambiato. Andavo a spasso sui tetti di tegole al mattino presto e alla sera:  tra i comignoli, le stelle e i suoni di campane mi facevo il tè e come sempre meditavo e cercavo Dio dibattendomi fra le passioni. E avevo i miei punti preferiti da cui guardare san Miniato al Monte, gioiello romanico e monastico appollaiato sui colli, o Orsammichele il granaio celeste, o la cupola - troppo famosa per poter essere conosciuta - del Duomo. Mi sentivo di imitare un po' il Père Sogol del Mont Analogue di Daumal. Ah vita come ti perdi, ti ritroveremo mai tutta tutta, tutta senza niente che manchi, tutta distesa accanto a Chi ci salverà?

Vent'anni fa c'è tanto caldo in questa notte, e io dormo con tutte le finestre aperte per far entrare un po' di fresco e il profumo dei giardini d'oltrarno. Dormo e forse sogno, sarebbe strano il contrario perché la notte è bella e quieta. Il primo ricordo mi vede in piedi accanto al letto, completamente sveglio, attonito. Non ricordo affatto il risveglio e il mio alzarmi, il primo ricordo è di me già in piedi. E' accaduto qualcosa, ma cosa, un boato, un terremoto, cosa? La terra non sembra tremare. La finestra è spalancata davanti a me, da lì si raggiungeva a un tetto non ripido, esco a vedere. Un silenzio inquieto. Vibrazioni dell'incanto turbato, prima del suono delle sirene. Si levano fiamme, un paio di strade verso sud. Un incendio, forse l'esplosione di una bombola di gas? Non c'è luce elettrica nel quartiere, il fuoco si vede bene. Il mio tetto è pieno di pezzi di cose, frammenti, pietre. Mi muovo con attenzione, pur nel luogo che conosco bene, alla ricerca di una piccola torretta dalla quale veder meglio. Non capisco, se non che è accaduto qualcosa di serio. Molte sirene, adesso. Mi vesto e scendo. Le scale sono cosparse di pezzi di vetro. Le mie finestre non si sono infrante, erano tutte aperte, ma quelle interne delle scale erano evidentemente chiuse e qualcosa le ha sbriciolate. In pochi minuti raggiungo piazza del Duomo, dove c'è da 800 anni una Confraternita alla quale appartengo e che ora fa servizio ai malati con le ambulanze. C'è abbastanza gente, mi getto addosso la cappa nera dal grande cappuccio - la 'veste', come dicono i confratelli - salgo su un'ambulanza e vado in piazza della Signoria. Rimango lì fino al mattino, aiutando a medicare minime ferite, e continuando a dire 'non lo so' ai tanti che domandavano cosa fosse accaduto. Verso le sei e mezzo torno a casa, prendo prima un cappuccino che ricordo ancora. Salgo i centocinquanta gradini pieni di vetri rotti, entro: il mio appartamento, ora che la luce del giorno lo illumina di una bella luce estiva, ha frammenti dell'esplosione anche dentro, tra cui un contorto pezzo di lamiera bianca di auto. La parabola incredibile e altissima compiuta da una parte forse dell'auto bomba, di cui sempre di più si parla.

Insomma poi la verità la sappiamo tutti. Un Provenzano, un Riina, uno Spatuzza, ha prelevato vecchio esplosivo dal fondo del mare di Sicilia - proprio da quelle acque da cui fu recuperata la straordinaria bellezza del satiro danzante - e l'ha usato per ferire la Bellezza assoluta degli Uffizi. Su questo ciascuno ha fatto, fa e farà le sue riflessioni. Io le mie le ho fatte. A Firenze non ci vivo più da tantissimo, non ci vado più se non per necessità, e su quella Bellezza non faccio più affidamento, anche se non credo che l'episodio di via dei Georgofili c'entri per niente.

In quella notte morirono cinque persone, tra cui una neonata e una bambina. Opere d'arte di mano divina. Ma tale è la potenza  realizzante e spietata del 'vent'anni fa' che oggi - e lo dico accusandomene e sentendone la colpa - la malinconia è generata dal ricordo di un altro morto, di un altro che non c'è più, di un Leo morto che passeggiava sulle tegole nella profumata estate fiorentina.

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