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lunedì 6 ottobre 2014

Non sta in piedi. Critica interna alle Sentinelle

La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire / più che sette sentinelle collocate in alto per spiare (Siracide 37,14)

Per quel che mi riguarda, io sto con i corsari, e aspetto soltanto la consumazione dei tempi e – se ci sarà– la rivelazione che ne seguirà. 

Non che speri più di assistere al Grande Botto, quello Universale, ora che anche i Maya mi hanno deluso e neppure mi sento di confidare in Socci, che sembra dire - nel suo ultimo libro - che quando due Papi si incontrano si genera una singolarità spazio-temporale che potrebbe far saltare tutto. Magari qualche asteroide potrebbe pure arrivare, ma insomma, non ci faccio affidamento. Per quel che mi riguarda, la consumazione dei tempi però non sarà lontana: supponiamo che l’attesa media di vita per un maschio sia di settantotto anni: ne ho vissuti cinquantadue, me ne restano ventisei. Ventisei anni che sono 9490 giorni, che sono 227760 ore, che sono 13 milioni e 665600 minuti, che sono grossomodo un miliardo e venticinque milioni di battiti cardiaci e 246 milioni di respiri. Nella migliore delle ipotesi, eh, perché su nessuno di questi si può contare davvero. Dum dum dum batte il cuore nel petto la danza cannibale – come dice argutamente Fabrice Hadjadj – dum dum dum e quando il tamburo cesserà di battere sarà il momento del sacrificio, e la vittima sarò io. O, sempre nella migliore delle ipotesi, cesserà il toctoctoc del simandron di carne pulsante e andrò sonnolento alla celeste liturgia, che tuttavia sarà pur sempre e ancora un brancolare nel buio, per quanto gioioso, verso Dio. Un paio di centinaia di milioni di respiri, breathing in, breathing out, e qualcuno sarà emesso correndo, e qualcuno amando, e qualcuno – consapevole – meditando, e qualcuno pregando, e qualcuno baciando scivolerà nella bocca di un’altra, e qualcuno parlando, e qualcuno piangendo, e qualcuno soffrendo, e qualcuno salendo montagne (spero), e qualcuno trattenuto immergendomi sott’acqua (spero), e qualcuno mozzato in gola dalla bellezza (spero), e tanti e tanti sonnando e sognando, e gli ultimi poi saranno quelli dell’agonia. Ne ho visti, di ultimi respiri, proprio di ultimi ne ho visti. So come sono. Come vengono e come vanno via, come si diradano. e ecco non c’è più il respiro, e è tutto. Per quel che mi riguarda, quindi, il grande botto è vicinissimo. 
Per quel che mi riguarda. Il Corsaro Russo di Mar Saba sarebbe d’accordo. “L’Apocalisse? Per me e per te è vicinissima…” mi diceva mentre ci inerpicavamo sui tetti rotondi del monastero, fra le croci di ferro battuto, intelaiature di vele invisibili al vento notturno, mentre le silence éternel de ceux espaces infinis nous nous effrayons. In tutta la mia vita la galassia avrà ruotato poco più di un decimillesimo di grado. 
Per quel che mi riguarda, e – sono felice o mi dispiace di dirvelo – anche per quel che ‘vi’ riguarda.

Aber weil Hiersein viel ist, und weil uns scheinbar 
alles das Hiesige braucht, dieses Schwindende, das 
seltsam uns angeht. Uns, die Schwindendste
Rilke, Neunte Duineser Elegie

D’altra parte essere qui è molto. Le cose ci sollecitano. Noi, i più effimeri. Non soltanto per sentirle, le cose, ma anche per pensarle, per comprenderle. Nel frattempo, infatti, c’è la vita, c’è l’alzarsi al mattino, le vent se léve, il faut tenter de vivre. Apocalittico, non integrato: ma ciò non mi autorizza alla diserzione.

Qui si firma per la vita! Qui si firma contro l’aborto! Per i fiorentini certe cose straordinarie sono talmente normali che neppure le notano, e si perdono tutto. Tipo giocare a nascondino sotto la loggia dei Lanzi,  intitolata a quelle ghigne luterane (ma devote a Maria, tanto da pregarla in canto – Unser Liebe Fraue, oppure era Unser’ Lieben Frauen, e cioè le donne amate o piuttosto le vivandiere che le seguivano - al fine di avere un po’ di caldo e non morire di gelo, che poi fosse per grazia divina o per la condivisione del pagliericcio non penso abbia poi avuto grande importanza) Lanzi che vi sostarono prima di andare a saccheggiare Roma e chissà che il mio cognome non venga proprio da quelli là. Nascondersi dietro il Ratto delle Sabine del Giambologna e fare bomba sotto il Patroclo e Menelao: a me è accaduto, e a chissà a quanti altri bimbi. Oppure fare politica utilizzando come gazebo (ah…) un’altra loggia, quella gotica del Bigallo, l’eleganza delle cui arcate ispirò forse il Brunelleschi, quella loggia dalla quale il predicatore Pietro da Verona, col segno della santa Croce, mise in fuga il nero cavallo indemoniato che calpestava la folla al mercato, quella loggia sotto cui, avvolto nelle ruvide lane delle Compagnie, il cuore di generazioni e generazioni di fiorentini pulsò di carità e si rese capace di fronteggiare la peste, la morte, l’abbandono: a me anche questo è accaduto. Perché fu sotto quella loggia che nel 1980 mettemmo un tavolino con un cancelliere dietro, o un notaio, non so, e noi giovani distribuivamo volantini che ciclostilavamo a mano e con un grosso megafono bianco invitavamo: Qui si firma per la vita! Qui si firma contro l’aborto! E sotto la loggia ci urlavano contro in tanti, proprio in tanti, e io avevo diciotto anni, e la mia fidanzatina sedici, e fu lei che dovetti accompagnare all’ospedale per essere stata colpita da un sasso in faccia, e immaginate quanto le poche stille di sangue che versò mi mandassero in estasi, coniugando (o meglio cortocircuitando) il desiderio col martirio, e l’etica con l’intimità, e alla fine Dio con l’amore, riproducendo in sedicimiliardesimo l’esperienza di Caterina da Siena e Nicolò di Tuldo (l’anima mia si riposò in tanto odore di sangue, che io non potevo sostenere di levarmi il sangue, che mi era venuto addosso, di lui). Che sembran paroloni, in effetti, ma se non li si pensa a diciotto anni quando li si deve pensare, che ci saranno poi tanti decenni da dedicare alle paroline, alla stipsi del significato. Perché era tanto bello lottare, allora, e militare, e studiare diritto per saper confutare, e andare a sentire Luigi Lombardi Vallauri che ci leggeva i testi di sant’Ireneo di Lione per mostrarci quanto splendore potesse esserci nella vita umana, oh mio Maestro, anche tu, dove sei ora?

E poi trent’anni dopo ci fu sempre l’aborto a mobilitarmi, per quanto malinconicamente, e m’imbrancai con Giuliano Ferrara a sostegno di una Lista Pazza che raggranellò non lo zero-virgola, ma lo zero-virgola-zero-qualcosa alle elezioni del 2008. E ricordo una serata davanti al Rosetum a Milano, che dentro parlava Ferrara, e io ero fuori e una vecchia orribile mi si parò davanti, infilò la mano adunca in un sacchetto della spesa e mi gettò sul viso un bolo di basilico umidiccio, come a dire: tu sostieni le mammane, vuoi la morte delle donne negli scantinati, trafitte dai ferri da calza, e magari ci credeva veramente, la vecchia, che io lo volessi, e magari ci credeva veramente, la vecchia, che l’aborto fosse una conquista civile.

Oggi prendo il libro Voglio la mamma, del simpaticissimo giocatore di poker Marione Adinolfi. Guardo l’indice dei ‘falsi miti di progresso’: matrimonio omosessuale, aborto, omogenitorialità, eutanasia, ideologia transgender, etc., con una serie seria di argomenti critici da sinistra. Resta poi ovviamente la parte cattolica, restano le Costanze Miriano, i padri Botta, i Camilli Langone, I Marii Schicchitano. Restano tuttavia anche fior di intellettuali, filosofi, teologi, giuristi, a combattere la buona battaglia nelle sedi accademiche e scientifiche. C’è la Manif pour Tous, ci sono le Sentinelle in Piedi, c’è stato il Family Day e forse ce ne saranno ancora altre edizioni. Insomma c’è gente che lotta, e con gran cuore. E il Foglio, anche se meno frontalmente, continua giorno dopo giorno la sua vigilanza culturale e informativa. Sono soprattutto laici, perché la tendenza Francesco – per quanto rispettosa sui contenuti – tende a privilegiare altri campi di battaglia su cui impiantare l’ospedale da campo della Chiesa, e ormai le gerarchie nicchiano a sentir parlare di valori non negoziabili. Proprio in questi giorni circa duecentocinquanta uomini vestiti di porpora, di claretto, di nero, con sottane e buffi copricapi, e quasi tutti i duecentocinquanta caratterizzati dal non avere – almeno ufficialmente – una famiglia, sono in Vaticano a parlare proprio di famiglia, all’ombra di quel Gesù che la famiglia non sembrava poi amarla tanto: Lui che perché mi cercavate, non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio (additando il cielo, adolescente), Lui che venne per separare il figlio dalla madre, la figlia dal padre, la nuora dalla suocera (oddio forse non è esattamente così ma è un lapsus da psicoanalisi che mi piace lasciare), Lui che chi ama padre e madre più di me non è degno di me,  Lui che chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo, Lui che chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? chi fa la volontà del Padre mio (che è nei Cieli) è mio fratello, sorella e madre, Lui che seppellire tuo padre? lascia che i morti seppelliscano i loro morti, tu vieni e seguimi, Lui che mai si sposò per restar libero e errante e volle così i suoi strappandoli ai loro focolari e ai loro giacigli caldi di troppa quiete e di meste abitudini, Lui che, perfino mentre moriva, perfino agonizzando sulla croce, vero letto di nozze, volle sbarazzarsi del legame materno e disse a Lei straziata che il vero figlio non era Lui, ma Giovanni, straziandola e straziandola ancora. E i duecentocinquanta usciranno dall’Aula del Sinodo tutti abbastanza contenti, avendo ancora tentato la mediazione tra lo Zeitgeist e lo Heiligegeist, (ma il primo sorride sornione perché sa che ha dalla sua parte il Desiderio: che sfonda le porte di qualunque precetto).

Ieri, da Aosta a Viterbo, le Sentinelle in piedi hanno manifestato in cento piazze, da Aosta a Viterbo. Ritti, silenti e fermi vegliamo per la libertà d’espressione e per la tutela della famiglia naturale fondata sull'unione tra uomo e donna, recita il loro sito. Io non sono andato, no. Mi sono chiesto perché, dal momento che la mia vita è stata in parte spesa in difesa e a servizio dei medesimi valori.

1. Per prima cosa, mi sono accorto dell’esistenza del bigottismo 2.0. Apparentemente è molto diverso dal bigottismo tradizionale. Per prima cosa il bigotto 2.0 non si incarna idealtipicamente in una vecchietta nerovestita e velata che si trascina biascicando preghiere da cappella a cappella, toccandone gli altari (ungendoli, come si dice a Firenze) e accendendo candele, non si incarna nella donna sola e triste che passa il tempo seduta nel banco a sentir messe su messe, non si incarna nel prete collo torto e sottanone, dalla vocetta tenue e femminea. No. Il bigotto 2.0 è tecnologicamente up-to-date, unge non gli altari ma le bacheche dei vari opinion makers, di tanti altri non volti-di-santi ma profili-di-scrittori o giornalisti, lasciando non fiori secchi o preghierine, ma commenti: commenti che vi inviterei una volta a leggere perché indescrivibili sono (salvo rare eccezioni) la violenza, l’arroganza, il giudizio in essi contenuti. Frequentano anche la bacheca di sant’Antonio (Socci), ma io credo che quest’ultimo, per singolare segno di predilezione, il Signore lo abbia lasciato fuggire nella follia, nell’allucinazione e nel delirio (tutte cose che io amo da pazzi: e credo che in certi casi quos vult Deus salvare dementat prius). Il bigotto 2.0 veste trendy, fa la maratona sotto le tre ore e venti, se è prete ha il volto aperto, l’occhio arguto, il collo fiero e largo nel colletto romano, se è donna pubblica in rete foto delle sue mani affusolate con unghie smaltate di un colore che fa perfetto pendant a quello del rosario che le si avvolge al polso. Il bigotto 2.0 è talvolta anche sexy, o almeno così vuole apparire. In genere è prolifico ma anche no, talvolta è perfino un sedicente tombeur de femmes. Il bigotto 2.0 è trasversale: ce ne sono di pro F, di pro BXVI, di pro CVII, di anti CVII, perfino di sedevacantisti. Il bigotto 2.0 non compulsa libricini piccoli, logori, bisunti e neri con sbiadito taglio dorato, preferisce definirsi cintura nera di novene, i libri non so se li legge ma certo li scrive, li pubblica e li vende benissimo. Il bigotto 2.0 semplifica e detesta chi – ostaggio volontario della complessità – ammette di non saper che dire e che fare. Non ci sarò, purtroppo, ma vorrei esserci quando Costanza Miriano incontrerà san Paolo in paradiso, e lui dirà a lei – nel suo stile abbastanza acceso – cosa ne pensa della riduzione in folk psychology (per quanto moralmente ineccepibile) della sua teologia sul matrimonio. Insomma il bigotto 2.0 è un aggiornamento, ma la radice orribile rimane: quella di chi ultimamente non sopporta che san Giovanni abbia detto che Dio è amore senza aver specificato che è il veeeero amore, e che lo stesso san Giovanni non abbia specificato la direzione di provenienza e di destinazione dello Spirito sulla rosa dei venti, ma abbia detto che soffia dove vuole e non si sa dove venga e dove vada. Ora, tra le Sentinelle in piedi non vi sono certo solo neobigotti: ma credo sia indiscutibile che esista una contiguità culturale.

2. Trovo che i maitres à penser delle Sentinelle compiano un errore anche rispetto alle loro intenzioni. Che nella migliore delle ipotesi interpretino la parte patetica degli ultimi giapponesi che credono ancora che sia in corso la seconda guerra mondiale, nella peggiore sfruttino questa nicchia di retroguardia per esercitare un’influenza, per scavarsi uno spazio di visibilità, per vendere qualche libro. Possibile che non si rendano conto che non c’è più nulla da fare? Che – anche a voler usare solo l’intelligenza calcolante – sarebbe molto più efficace mollare la presa su tutto: famiglia, vita, nascita, morte, educazione, tutto. Lasciar bere al mondo il calice della libertà libertaria fino in fondo. Fino in fondo, però: io voglio che mi sia consentito di fidanzarmi con Siri (come mi si dice che vorrebbe un personaggio di The Big Bang Theory), di adottare un computer, di avere settecento mogli e trecento concubine come il re Salomone (magari di specie differenti, anche infraumane e non organiche), di abolire in molti casi il reato di pedofilia (se un minore può decidere di morire, perché non può decidere di far sesso con chi gli pare e piace) e così via. La libertà è un vino inebriante ma ha un fondo amarissimo che la contemporaneità potrebbe utilmente assaporare. Occorre agire all’orientale, lasciando che lo stesso slancio libertario, portato fino alle sue estreme conseguenze, faccia perdere l’equilibrio all’umanità, le consenta di cadere, farsi male e pensare a come rialzarsi. Il mio antico professore di Metafisica, padre Alberto Boccanegra OP, diceva che solo dopo l’avvento di una onnipervasiva neosofistica sarà possibile veder apparire un nuovo Socrate.

3. Giudicare, non so più. Non certamente per virtù, forse per stanchezza, o per età. Oppure perché quando vedo una cosa e mi sembra così, subito mi sembra che possa essere anche cosà, come la brutta copia dell’Ulrich di Musil, e finisco sempre per assomigliare di più a quel giudice ebreo che ascoltava una parte e diceva ‘ha ragione!’, poi ascoltava la controparte e diceva ‘ha ragione!’, e, quando un terzo si alzava, obiettando che due proposizioni contraddittorie non possono essere giuste entrambe, ammetteva pensieroso che aveva ragione anche lui. Questa attitudine titubante sulle conclusioni ed eccessivamente analitica nelle premesse non è che il versante freddo, anziano, disincantato, del carattere che si oppone per porsi, tipico dei cromosomi toscani. Giudicare, non so più, non riesco più: e le Sentinelle mi sembrano insopportabili ditini alzati ad ammonire. Poi non saprei cosa leggere. Esiste qualcosa di letterariamente significativo che non includa almeno un po’ di trasgressione? In questo momento sto (ri)leggendo Il Dottor Živago. Avrei potuto leggerlo in piedi, fra le Sentinelle? Perché è tutta una serie di amori che sconvolgono le regole. Scartando titoli tipo Sposalo e sottomettiti, Sposala e muori, Obbedisci che è meglio – perché ridacchiare in piazza non starebbe bene – potrei virare sulla saggistica, sulla teologia, sul documento ecclesiale, sull’enciclica. Ma non sono un quadrupede, e di addormentarmi in piedi non son capace.

4. Nella mia Chiesa si sta in piedi sempre, e tanto. Dritti in piedi per ore, col freddo e col caldo, nel buio e nella luce, uomini donne e spesso anche vecchi e bambini. Dritti in piedi mentre il prete chiama e chiama l’invisibile realissimo a farsi visibile irrealtà. Quindi tutto sommato la Sentinella la faccio sempre, e per di più a digiuno. E – se avessi la stoffa umana, che invece chiarissimamente non ho – vorrei starci ancor di più, in piedi. Fare come Arsenio, padre del deserto, che quando il sole tramontava si voltava verso est e rimaneva in piedi, immobile, silenzioso, intento, attento, contento, finché il sole non sorgeva dall’altra parte del pianeta. Questa la preghiera, solo questa vorrei che fosse. La stessa idea di Dio caduta a terra delicatamente, e un po’ accartocciata come una foglia secca. Figuriamoci i precetti morali dove li avrebbe già portati il vento.