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lunedì 20 maggio 2013

In quarantotto ore

In quarantotto ore, che significano due piroette del pianeta attorno al suo asse.

Ho visto - sotto un cielo che ce la metteva tutta a celebrare la trasformazione e cambiava cambiava cambiava e in un momento passava dalla trasparenza all'acquazzone ruvido e mite e nuovamente alla limpidezza con mezzaluna e frange argento di nuvole e stelle - persone comuni, quindi tutte uniche, fare la fila per entrare in una cella di prigione, imprigionare il proprio corpo per tre minuti al fine di liberare la mente e il cuore; le ho viste poi porre quella mente e quel cuore aperto all'ascolto di quattro giovani musicisti suonare musica ottocentesca sotto gli archi ottocenteschi di un villino veneto di campagnola nobiltà, all'incontro con immagini e con parole, e poi ho visto ancora le medesime persone fare la medesima fila per ricevere una cena da galera accompagnata dal pane del perdono, e sedersi a tavola con gente che nel carcere ci vive davvero, mangiar con loro, incontrare loro, chiedere loro, sentir loro parlare e raccontarsi, e poi tornare a casa con gli occhi luminosi, mentre il cielo continuava a cambiare cambiare cambiare.

E poi ho visto vite colpevoli e vite vittime mettere insieme il dolore e trasformarsi in vite umane, e ho visto queste vite umane cucire la propria carne ferita con la carne del paese ferito, con trasognata lucidità e vigorosa delicatezza. E ho visto immagini di uomini e di donne che al cospetto dell'orrore proponevano la fragilità dei loro gesti, segni di croce e pugni chiusi, e la forza irriducibile dei loro volti così semplici e simili e delle loro lacrime. E una casa che ospita l'orrore e lo ricorda per guarire la vita e preparare il futuro, e un santo che non sa di esserlo e forse proprio per questo lo è. E in quel giorno ho visto scambi di sguardi e abbracci inimmaginabili e inimmaginati, e io lì a vedere assieme con persone che venivano dai quattro venti e dalle mille culture, rabbrividendo di meraviglia. E il cielo cambiava e scambiava pioggia e sole.

E poi sono stato ricevuto in una casa accogliente, abitata da due musicisti, e lui suona il violino e canta, e lei suona lo sguardo, gli abbracci, il cuore, e anche lei canta. E abbiamo parlato di Nizza e Bisanzio, di Giappone e di Gerusalemme, e abbiamo ascoltato Brassens e musica rinascimentale francese, e abbiamo bevuto il secondo miglior Pastis della Francia, e il fatto che fosse proprio il secondo lo rendeva meglio del primo, perché spalancava il gusto a una possibile ulteriorità di beatitudine. E alla fine mi è stato donato, mi è stato mostrato, mi è stato rivelato un germoglio, una gemma, un fiore di creazione tutto chiuso e già bellissimo. E il cielo era grigio come l'ardesia.

E allora sono tornato a casa, e sono andato sul balcone perché fra i vasi una coppia di merli ha fatto un bellissimo nido e ha deposto quattro uova azzurre, e io le osservo di lontano da quasi un mese, e non apro le finestre per non disturbare la cova. Ma i merli non c'erano, e il nido era vuoto. Mentre il pianeta ruotava e il cielo cambiava, forse un corvo, certo una grande cornacchia aveva steso le sue ali d'argento e si era cibata dei futuri pulcini che erano ormai sulla soglia della schiusura e del volo. E ho pensato che in fondo c'era in questo una misteriosa ingiusta giustizia: perché troppa bellezza senza un'ombra di dolore e di morte non si addice a un cuore umano, almeno non per ora.


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