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sabato 23 novembre 2013

[Un anno dopo] Dannata Firenze (note su 'Salviamo Firenze' di Luca Doninelli)

Venezia 22 novembre 2012, 11.52

Premetto che il libro di Doninelli è bellissimo, e regala a fiorentini e non una prospettiva straordinariamente acuta e originale su Firenze, le sue origini, il suo presente, la sua sorte. Lo fa - inoltre - utilizzando un genere letterario in qualche modo unico, che incrocia il saggio con il romanzo, la poesia, l'autobiografia, la dichiarazione d'amore, l'invettiva, l'assurdo, che in qualche modo mi ha ricordato 'La scomparsa di Israele' di Alessandro Schwed. Altro fiorentino, guardacaso. Sì, è un libro bellissimo, e io l'ho letto tutto a Venezia, e anche questo ha il suo perché. Leggevo di Firenze, che è la mia città, da Venezia, che è per diverse e indicibili e intimissime ragioni ancor più profondamente mia, mia di me
naturalizzato milanese, e che ora vive a Milano solo col corpo, perché mente, passioni, anima e spirito sono tutti in Israele, in Russia, in Birmania, altrove, chissadove.

Però devo ritrattare il mio primo moto d'esultanza: quando, avendo letto le prime righe, ho pensato che il mio odio per Firenze avesse trovato il suo 'autore'. Non è così: Doninelli non odia Firenze. La ama disperatamente, ahimé. Scagliandole addosso giudizi pesantissimi, come ogni innamorato deluso, ma la ama. Dovevo accorgermene dal titolo, esortativo, che chiama a salvare Firenze, come se fosse ancora possibile. Come se Dio non avesse provato a distruggerla in modo onorevole con l'Alluvione del '66 (e io avevo quattro anni, la mia casa fu interamente sommersa dalle acque nere, e molti ricordi mi restano), ma essendo intervenuti gli angeli del fango (uno dei quali fu Pierluigi Bersani, oddio, che ora rivendica e sbandiera la sua azione salvifica dicendo che alla stessa età il suo attuale contendente fiorentino giocava con Mike alla Ruota della Fortuna e comprava le vocali), essendo intervenuti gli angeli del fango, dicevo, - e si sa, Thomas Mann lo dice molto chiaramente, gli angeli, anche quelli cosiddetti buoni, non sono mai andati tanto d'accordo con il Signore Iddio - ha portato a compimento la sua sentenza mediante lo squallore. Non c'è più niente da salvare, Doninelli. Firenze è morta. Rest In Peace.

Non basta, per resuscitarla, applicare la scossa elettrica defibrillante delle tue idee geniali e bizzarre (in ordine: abolire il sottopasso tra le due Sante Marie Novelle, realizzare un Museo della Città, commissionare a un'archistar il rifacimento di piazza della Repubblica, affidare a un giovane architetto la facciata di san Lorenzo, cedere il David di Michelangelo al Louvre (non ci crederete, ho dovuto correggere, avevo scritto: a Lourdes), cedere palazzo Strozzi alla Apple, acquistare il teschio di diamanti di Damien Hirst e installarlo permanentemente sul tabernacolo dell'altar maggiore del Duomo, e per finire con il trasformare la città in un'immensa casa di riposo per intellettuali dolcemente affetti da demenza senile, che a colpi di scalpello e martello potrebbero distruggere il Corridoio Vasariano). No. Come nei telefilm di medici di pronto soccorso, il corpaccione di Firenze certo sussulterebbe, scosso dalle scosse, ma ricadrebbe inerte sulla barella. Perché non 'la stiamo perdendo', Firenze. L'abbiamo già persa. Non c'è ER, non c'è Doctor Home (ehm, House) che tenga. E Doninelli non se ne fa una ragione.

Una delle idee forza del libro è che Firenze non è la culla del Rinascimento, ma la madre dei Rinascimenti (passati, presenti e futuri). "Una madre è il contrario di una culla", scrive. "Una madre può disconoscere il figlio, ucciderlo, oppure semplicemente non comprenderlo. Una madre può impedire al proprio figlio di diventare quello che è, può rovinarne il volto reale a furia di volerlo sostituire con il volto che lei si immagina."
[e mi chiedo, non è questo divorare il Figlio da parte della Madre, impedirgli di avere un volto compiuto e autonomo, ciò che Michelangelo ha espresso, novantenne, nella Pietà Rondanini?]
Continua Doninelli: "Una madre è responsabile, perché sa che il figlio, una volta nato, si allontanerà da lei, e se vorrà mantenersi prossima a lui dovrà trattarlo come si tratta un altro, come un 'io' in faccia a un altro 'io'. Il figlio è tale perché è fuori dalla madre. La culla, viceversa, è una temperatura, è un microclima che avvolge chi è nato piegandosi su di lui, come un prolungamento del ventre materno,così che il nato viene sempre richiamato da questa parte della nascita, quasi risucchiato nell'inazione, nel calduccio adatto al riposo, dove non si sa in quale punto finisca la madre e cominci il figlio, dove 'tu' e 'io' si confondono in una generale sonnolenza. La culla mantiene l'essere in questa sospensione, in questa non-nascita, in questa negazione dell'altro. E' al posto di madre che Firenze deve aspirare"

La culla non muore. La madre a un certo punto muore, è morta, va sepolta. Non si può convivere col cadavere della madre, come si legge talvolta di qualche pazzo in un trafiletto di nera. Si smontino i monumenti, dal battistero alla stazione di Michelucci, pietosamente, fra le lacrime si smontino. Si collochino smontati in un caveau immenso predisposto, non so, nel deserto nel Nuovo Messico o dell'Arizona. Si mettano al loro posto delle copie di cartongesso, realizzate da una azienda giapponese o cinese, tanto per dare agli occhi il contentino di ciò che han già visto. E si trasformi "Firenze" nel più grande outlet village del pianeta. I fiorentini, vedrete, saranno contenti.

"Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più." (Pasolini)

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