Translate

lunedì 17 giugno 2013

Episozomene: quando muori non morire - Michele Gazich a Brescia

Si va per le vie di Brescia a piedi, in una sera quieta, mite e bella. La luna è appena una falce, è come forse il Profeta avrebbe amato contemplare nei suoi deserti, braccato com’era da Dio e da Jibrail il falco divino, che gli ingiungevano di leggere, e lui non respirava, ecome un ebbro e un folle udiva l’insegnamento delle rocce e degli alberi, e correva da Kadija la sposa dicendole ‘Coprimi, nascondimi!’, e lei pietosa lo copriva, ma nessun mantello vela dallo Sguardo implacabile.
La luna è proprio un taglio nel cielo, questa notte, o forse è solo la tua palpebra richiusa.
La contrada del Carmine è allegra e accogliente, pur con le sue ombre e i suoi dolori; un parrucchiere cinese tiene aperto il negozio mentre scende il buio, e i clienti sorridono e parlano forte.
Penso a come sarà bello, nel chiostro di san Giovanni, vedere la luna. Magari mentre Michele canterà la sua ultima canzone, che a un certo punto la nomina.

Un concerto di Michele Gazich non è mai stato, per me, un concerto. Dire però che cosa sia, non so bene. Un attraversamento. Una trasformazione. Una cosa per cui non sei quello di prima, dopo. Una lotta con l’angelo. Un’iniziazione. Non so. Un cammino. Un turno di guardia.

Oh, non sarà nel chiostro che Michele suonerà, ma nel teatro adiacente, quindi niente luna o quadrilateri di notte lucente: invece un sipario chiuso e poltroncine di velluto. Lo sciamano, ruvidamente, gentilmente, intende infatti condurci nel buio. Del resto era previsto: al buio la musica è più forte. La falcetta di luna sul chiostro darebbe troppa luce, troppa consolazione: la trasmutazione non si compirebbe. La pellicola dell’anima esige la camera oscura per mostrare le immagini. Di buon grado, chinando il capo – che però aveva sete di stelle - mi siedo. Ecco, si inizia

Con un tragico eccesso inizia Michele.
[Amore, Amore! O Amore, che non sei né amato né conosciuto! O anime create d'amore, e per amore, perché non amate l'Amore? gridava Maddalena de’Pazzi, suonando a fuoco d'amore le campane del convento. Non si fermava finché - fintamente, dolcemente, per farla smettere di piangere, per arginare l’intollerabile teopatia - tutti glielo promettevano. In tali eccessi, accendeva scrive suor Costanza, sua consorella.] Con un tragico eccesso inizia Michele: Perché la vita non vive?

Michele ci conduce nel buio profondo, nel cuore dolente della guerra civile. Ma ha sempre e comunque a che fare con gli angeli. Tanto da contribuire a ricostruirne la casa, a L’Aquila, santa Maria degli Angeli. Un altro violinista – ma il suo violino consisteva in due pezzi di legno sfregati fra loro – restaurò una casa degli angeli sulla piana d’Assisi.

Gli angeli, dunque: ma chi li immagina esangui, decorati d’ali dalle sfumature pastello, non ha davvero idea. Non conosce colui che con la spada fiammeggiante protegge i Progenitori da un tragico e impossibile ritorno edenico. Non sa dello sterminatore dei primogeniti, fermato solo dal sangue sugli stipiti, prima e unica vera mezuzah. Non comprende i ruggenti cherubini effigiati sull'Arca, gli angeli, gli arcangeli, le dominazioni, i troni, i principati, le potestà, le virtù, le schiere eterne, i cherubini dai molti occhi, i serafini dalle sei ali, che con due si coprono i piedi, con due la testa e con due volano, e che dicono insieme a mille migliaia di arcangeli e a diecimila miriadi di angeli, con voci che non cessano e mai tacciono: Santo, santo santo il Signore delle schiere. E soprattutto non vede colui che piombò ad ali chiuse sulla giovinetta di Nazareth, ghermendola d'ombra per l'Altissimo che la voleva, per sé la voleva, per tutti, per il cosmo la voleva.

Jeder Engel ist schrecklich.  Sono gli angeli forti di Israele quelli che conversano nel buio con Michele - nome anch'esso d'arcangelo - e col suo violino dalla cui cavigliera pende argenteo il Magen Dawid. Sono gli angeli che frequentano i deserti e le città solitarie di Giuda, che chiedono ospitalità avvolti dalla polvere, e Michele è un po’ come loro, ha un corpo forte e solido, tutto il contrario di un folletto branduardiano, e quando suona s'incurva e conficca i piedi a terra come chiodi nel legno. I suoi sono angeli di fronte ai quali siamo noi gli evanescenti. Ecco perché non sono fuori luogo laddove si impiccano i poeti, pronti a introdurli nella grandezza che li attende; o presso il pont Mirabeau nell’aprile del ’70, dove un imperdonabile ha bevuto il suo ultimo latte nero dell’alba; o in una piazza vicina, così vicina, tanto vicina che Michele può mostrarla a dito .

C dice che Michele ha due voci, che raramente si sovrappongono: la prima è propriamente la sua, generata dalle sue corde vocali, e che è come i lini usati con i quali Péguy immagina gli angeli tergere le piaghe del crocifisso (Avec du linge bien fin. De lin. Mais un peu usagé. Parce que c'est plus doux); la seconda è urlo, furia, passione, ed è consegnata alle corde tese del violino. Come se la voce di parole arrivasse fino a un punto, e poi dovesse dare la parola a quel grido che non ha ortografia.
A me sembra invece che l'archetto sia brandito come un coltello sacrificale, teso verso l'alto, mentre tiene fra le braccia il piccolo violino Isacco, e a un tratto il pugnale cade - non essendo stata presentata alcuna vittima vicaria - e fra Isacco e il coltello c'è il cuore di Abramo, che immancabilmente viene trafitto e sanguina e muore, quasi muore. Ma.

Nel punto più buio della notte anche Michele sente che c’è bisogno di respiro. La parola e la musica è offerta agli amanti (e come sempre agli angeli). Francesca e Marco sono mediatori efficacissimi e silenziosi, arde però il loro sguardo al pari dei loro suoni, ardono i loro gesti di delicatezza e di forza. Per un attimo penso (e forse spero) che al termine della custodia in nocte Michele voglia deporci fra le mani un grano di luce. Non accade, non siamo nel chiostro alla luce consolante della luna crescente. Si termina con un eccesso: quando muori, non morire.


Perché la vita non vive? Quando muori non morire. I due eccessi formano un’inclusione: all’interno la bellezza e lo strazio, l’amore e la vertigine, il pianto e il canto. Fuori la notte è tiepida, e il ritorno come un volo. Per i cristiani d’oriente è la vigilia dell’Episozomene, quando il Teantropo ascendendo al cielo penetrò fino alle radici dell’Essere. Ecco cos’era il concerto di Michele, ora lo so: una liturgia.

1 commento:

  1. Sono in Albania con Kozeta mediatrice naturale. In Albania non si dice caro mio ma anima mia e lei è un Isacco sacrificale che lascia che i violinisti da strada come me possano passarle l'archetto sul l'anima e produrre note immaginifiche. Un abbraccio

    RispondiElimina