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domenica 9 febbraio 2014

L'invenzione della ruota

Molte cose, in questi ultimi giorni, mi riportano con la mente a Firenze. Sarà forse un segno che prima o poi io debba tornarvi anche col corpo? Tornare ad abitare la vecchia casa sui tetti, con le tegole di cotto bagnate dalla pioggia, bruciate dal sole, talvolta un po’ sconnesse al mio passo di aspirante alpinista daumaliano?




Perché in questi giorni si parla tanto di quegli esperti che si sono riuniti a Ginevra, nel palazzo bianco delle Nazioni Unite, e guardatela questa immensa costruzione neoclassica, (“Aspice quales lapides et quales structurae!” Mc 13),  guardatela, ammiratela (An relinquetur lapis super lapidem qui non destruatur?), e dentro questo palazzo bianco si sono riuniti questi diciotto esperti, una signora del Ghana, una signora del Bahrain, una signora dell’Arabia Saudita, un signore della Spagna, una signora dell’Ecuador, un signore di Monaco, un signore della Slovacchia, una signora dell’Ungheria, una signora della Russia, un signore della Tunisia, un signore dell’Egitto, un signore dell’Etiopia, una signora della Malaysia, un signore del Brasile, una signora dell’Italia, una signora della Norvegia (che è la Presidente), una signora dello Sri Lanka, una signora dell’Austria. Ve le immaginate queste diciotto persone, signore e signori, nella sala luminosa del palazzo bianco, con l’aria condizionata alimentata dalle acque del lago di Ginevra, il riscaldamento con gas naturale, l’energia prodotta dal sole raccolto in pannelli fotovoltaici, le lampadine a basso consumo, e le toilette con il pulsante piccolo per quella cosa piccola e il pulsante grande per quella cosa grande (che a dire il vero ci sono anche all’autogrill di Lainate, ma io quando ci vado premo sempre il pulsante grande, perché non lo so il perché, sarà perché mi sembra comunque una cosa grande, e proprio adesso mi ricordo una frase di Andrej Siniavskij che ho letto a sedici anni e che diceva più o meno: “Depositiamo i nostri escrementi in coppe igieniche e crediamo di essere salvi”, ma sono certo che le signore e i signori esperti quando vanno alla toilette e fanno quella piccola usano proprio il pulsante piccolo), ve le immaginate queste persone nella loro sala con la moquette azzurrina, tutta calma e da cui magari si vedono le montagne, e queste persone sono il Committee on the Rights of Child. E in quei giorni (dal 13 al 31 gennaio) hanno esaminato i report del Congo, della Germania, della Santa Sede, del Portogallo, della Federazione Russa e dello Yemen. Non so come sia andata agli altri paesi (anche se certamente avranno ricevuto pure loro un documento con scritto “The Committee welcomes (si inizia sempre con le cose positive); the Committee notes; the Committee notes with regret; the Committee draws the State’s attention on; the Committee is deeply, seriously concerned, the Committee recommends; the Committee urges: così si esprimono le undici signore e i sette signori esperti), ma so più o meno come sia andata alla Santa Sede, e non le è andata proprio benissimo, come si può vedere scritto su tutti i giornali e su tutti i siti del mondo. Non starò certo qui a entrare nel dettaglio. Le undici signore e i sette signori, seduti nel loro palazzo bianco, rimproverano la Santa Sede per le carenze informative e educative rispetto alla sessualità, alla contraccezione, alla parità fra i sessi, all’aborto, ma soprattutto per gli abusi ai bambini compiuti dai sacerdoti.

Ora, lo strazio e la vergogna del prete pedofilo sono innegabili. Mia madre stessa – figlia di osti e baristi in un quartiere popolare e bellissimo di Firenze, e che quando apriva la finestra vedeva la facciata di Santa Maria Novella coi suoi marmi policromi, e le volute intarsiate di Leon Battista Alberti – mia madre mi raccontava che quando era adolescente un domenicano grasso coi capelli rossi torturava in confessione lei e le sue compagne con domande intollerabili, e io sentivo che questa esperienza l’aveva molto ferita. Infatti ora non ci va in chiesa, e non ci va a causa di tanti dolori (che poi è la ragione stessa per cui molti invece ci vanno, in chiesa, i dolori) ma tra essi forse anche quello subito a causa di queste domande insinuanti da parte di chi avrebbe dovuto solo esser tramite di un perdono.

Però, in questo momento, Dylan Farrow mi guarda con un visino dolce e imbronciato - un visino bianco bianco, che ben contrasta coi suoi capelli d’oro rosso – dal sito del New York Times. Sotto, la sua famosa lettera aperta con cui denuncia ancora una volta Woody Allen, per i suoi ripetuti abusi. “What’s your favorite Woody Allen movie? Before you answer, you should know: when I was seven years old…..”. Quando aveva sette anni Woody, il grande genio, la ha portata in una stanza della loro casa, che immagino desse su Central Park East, e le ha detto di sdraiarsi. Poi si è messo a giocare col trenino elettrico del fratello, un trenino semplice, di quelli che girano in cerchio. Poi la ha abusata, sussurandole che era una brava bambina, che sarebbero andati insieme a Parigi, che l’avrebbe fatta diventare una star nei suoi film. Lei guardava il trenino girare. “To this day, I find it difficult to look at toy trains” mi dice il visino di Dylan.

I sacerdoti abusanti certo non hanno il talento di Woody, il colpo di genio regressivo del trenino che gira e gira, no di certo, e magari neppure l’attico nell’Upper East Side di Manhattan, immagino piuttosto odori sgradevoli, un misto di cavolfiore cotto, aceto e piedi sudati, stanze squallide, crocifissi nudi sulle nude pareti, abbracci paterni che poi paterni non rimangono, ma ormai non ci si può più divincolare. E anche a me vien da pensare che il talento collochi in un certo senso al di sopra della morale, e ma non so se sia proprio giusto pensarla così. In ogni caso io credo che la pedofilia del clero sia una piaga dolorosissima ma circoscritta, non so, come quando una carie scopre un nervo, l’organismo complessivamente è sanissimo, ma il dolore è tale che gli viene da sbattere la testa contro il muro, se non da saltare proprio giù dal balcone e farla finita. Peraltro i Caschi Blu dell’ONU hanno stuprato anche loro, e vorrei sapere cosa avviene tra i funzionari dell’ONU e le tredicenni – non so – thailandesi o nigeriane, ma chissà se ci sono diciotto signore e signori che glielo dicono, all’ONU, quanto siano deeply and seriously concerned, e comunque, anche se glielo dicono, se questo viene rilanciato sui media di tutto il pianeta.

Ero partito da Firenze, e vi chiederete perché, dal momento che finora non ne ho parlato. E’ che nel documento delle diciotto signore e signori, al punto 35, c’è una preoccupazione forse minore, che è passata un po’ inosservata. The Committee is concerned sulla pratica mantenuta dell’abbandono anonimo dei bambini gestita da organizzazioni cattoliche in molti paesi attraverso l’uso delle cosiddette ‘baby boxes’. E più sotto, al punto 36, the Committee urges la Santa Sede di contribuire alla cessazione della pratica dell’abbandono dei bambini favorendo la pianificazione familiare, la salute riproduttiva, un adeguato counselling e supporto sociale per impedire gravidanze non pianificate, così come l’assistenza alle famiglie in difficoltà con l’introduzione delle confidential births negli ospedali come una misura estrema per prevenire l’abbandono e/o la morte del bambino.

Ora, sarà anche giusto, più che giusto. Ma a Firenze, quando ero bambino, li miei genitori abitavano vicino a una delle più belle piazze del mondo, la Santissima Annunziata, che era anche la mia parrocchia.  E in essa, oltre alla chiesa fondata dai sette mercanti fiorentini (mercanti, cioè ben attenti alla loro convenienza, tanto da vendere tutto per comprare la Perla di inestimabile valore; ma fiorentini, quindi progettati per perdere la testa il cuore e la vita per una Donna), c’è anche lo Spedale degli Innocenti, che è uno dei primi orfanatrofi dell’Occidente. Lo Spedale fu costruito dal Brunelleschi, che prese una misura (dieci braccia fiorentine) e con essa fece tutto, la distanza tra le colonne, l’altezza delle colonne, la larghezza del portico, il raggio delle volte, e gli venne fuori un incanto d’armonia da lasciar senza fiato. E fra arco ed arco Andrea della Robbia inserì i suoi putti, sullo sfondo di quel celeste che fu il suo sempiterno segreto. Ora, sotto questi portici si apre una feritoia, che dal 1445 al 1875 accolse neonati abbandonati. Il realismo cristiano non faceva sconti a chi si avvicinava alla ruota: un affresco – che la sovrastava – riportava in cartiglio. la frase del salmo XXVII: Pater meus et mater mea derelinquerunt me, Dominus 
autem assumpsit me (Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto). La  misericordia cristiana aveva però inventato la ruota, che invenzione la ruota, e la ruota faceva in modo che non si potesse vedere il volto di quel padre e di quella madre, il volto e i suoi colori, bianco di paura o di fame, rosso di vergogna o di febbre, livido di peste o di angoscia. Ci si avvicinava salendo le scale di pietra serena, si lasciava il fagottino – talvolta con fra le fasce un oggetto spezzato, come estrema speranza di ritrovamento, alla maniera delle antiche tessere ospitali - si suonava la campanella. Uno spedalingo accorreva, raccoglieva il bimbo e lo curava. Andava così. Veniva generalmente mandato a balia in campagna. E pare che nella seconda metà del Cinquecento si fosse già pensato all’acquisto di una vacca romagnola che dava ogni giorno quattro fiaschi di latte e alla somministrazione ai bimbi “tramite certi bicchierini fatti apposta col pippio”. E quei bimbi portavano il cognome di Innocenti, o Degli Innocenti, un povero nobilissimo blasone che li associava alla famiglia dei piccoli martiri sterminati dalla ferocia di Erode, e che inconsapevoli si offersero alla spada purché il Verbo Incarnato vivesse.



E come quella ruota, ve ne erano molte altre anche solo qui in Italia, a Milano, a Napoli, a Roma (dove Innocenzo III, Papa dal mondo onirico vivacissimo, oltre a sognare di Francesco che sosteneva il Laterano, sognò neonati gettati nel Tevere e ripescati con le reti, e subito aprì una ruota a Santo Spirito in Sassia).

Haim Baharier, nel suo recentissimo libro ‘La valigia quasi vuota’, racconta uno strano episodio. Sua suocera era stata condotta ad Auschwitz, e, assieme ai passeggeri del terribile treno, fu sottoposta a selezione, e quel giorno la selezione era presieduta dal medesimo angelo della morte, Josef Mengele. La sorellina era stata messa nella fila di quelli destinati alla morte immediata, lei in quella degli utili: e tutti ben sapevano cosa sarebbe accaduto sia degli uni che degli altri. Allora la attuale suocera di Baharier uscì dalla sua fila e andò direttamente da Mengele, dicendogli che avrebbe seguito la sorte di sua sorella, pur nella consapevolezza di quale fosse. Mengele allora le disse di portare anche la sorella nella fila dei potenziali sopravviventi. “L’irrisorio di Mengele aprì la porta a nuove generazioni, inavvertitamente”. E se il gesto dell’angelo della morte, provocato da una bimba impaurita ma ardita e “più potente dei demoni” che altroché se in quel luogo vegliavano e agivano, ha dato vita a generazioni, a nomi, a figli, a biografie, quanto più dall’irrisorio dell’abbraccio di queste ruote – dove forse erano gli angeli a vegliare - sono sprigionate stirpi, gli Innocenti, i Degl’Innocenti, i Colombo, i Diotallevi, i Proietti, e quant’altri trovatelli figli di m(ater)ignota a cui la carità della Chiesa donava non solo il nome, ma il cognome, il cibo, i panni, l’educazione, ah e non dimentichiamo gli Esposito, perché senza la Santa Casa dell’Annunziata a Napoli non ci sarebbero stati gli Esposito (esposti alla misericordia della madre di Dio), e magari neppure Roberto Esposito, filosofo della communitas.

Ora le ruote non ci sono quasi più, e nei rari casi in cui vi siano hanno dentro una culla riscaldata, assistenza sanitaria immediata, eccetera. In Italia sono usate ormai poco, in altri paesi del mondo molto di più. Perché se è vero che si può partorire in modo anonimo in ospedale, molti neonati finiscono comunque nei cassonetti, magari per timore di un rimpatrio coatto.


Ma, nel loro palazzo bianco, nella loro stanza moquettata di Ginevra (secondo Andrè Frossard il diavolo abita precisamente a Ginevra: “Mi piace” dice il demonio “questa città dalle tempie grigie, il suo getto d'acqua che non battezza nessuno, il battito sotterraneo delle sue mandibole bancarie, il lieve mormorio dei suoi orologi al quarzo, che fanno sentire alle orecchie altrimenti distratte l'impercettibile gemito del tempo ridotto alla confessione cifrata della sua lentezza e della sua vanità”), i diciotto esperti, le undici signore e i sette signori del Committee, eh, loro sono deeply concerned per questa vicenda delle ruote. Oltre che per tutte le altre cose che la Chiesa fa, meritandosi le accuse di gravi violazioni alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo. E il Committee ha chiuso i fascicoli e lasciato la sala il 31 gennaio, il giorno in cui la Chiesa di Roma festeggia san Giovanni Bosco, sacerdote, sognatore, un po’ sciamano, educatore, fondatore dei Salesiani, grazie ai quali una moltitudine di bambini ha avuto in dono il futuro. Grazie al quale in tanti pomeriggi estivi domenicali azzurri e lunghi, all’oratorio, tanti anni fa, tanti ragazzi persi nel cortile della loro adolescenza solitaria e trasognanti il treno dei loro desideri trovavano almeno un prete per chiacchierar.

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