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mercoledì 5 febbraio 2014

Capitale divino - Povero epicedio per Eugenio Corti, brianzolo

No, questo pezzo lo scrivo così, senza pensarci, senza rileggerlo, se vengono degli errori pazienza. E sì che stamattina ho parlato di morte. L'analista, antichissimo, aveva un funerale e ha anticipato la seduta. Gli ho detto che mi dispiaceva per la sua perdita, e lui 'Eh, alla mia età, è come il gioco degli scacchi. Rimangono sempre meno pezzi sulla scacchiera, fino a che anche il Re viene 'mattato' '. 'Se è per questo' gli dico io 'ci sono delle partite in cui il Re subisce matto in poche mosse, mentre tutti i pezzi sono ancora sul tavolo: e di solito accade per mano della Regina'. Inizia un flusso associativo che non dirò, ma che ovviamente passa dal Settimo Sigillo, e dalla nota partita a scacchi contro la morte.

Poi, tornato a casa, apprendo che ieri, in una serata brianzola piovosa, una di quelle serate brianzole scure e piovose che sono proprio così brianzole, ossia così comuni, così adatte a stordirsi di vino, a assopirsi di treno, a ammazzarsi di lavoro o a chiedere in ginocchio il senso e la verità di Tutto, in una serata brianzola che Virzì non ha mai visto, essendo così comune, Eugenio Corti è morto, a Besana Brianza, proprio magari mentre passavo io tornando dal lavoro.

Io il Cavallo Rosso - che è un Guerra e Pace italiano - non l'ho letto in Brianza. L'ho letto nella bassa milanese, nelle stanze di una vecchia cascina fatta monastero benedettino dall'energia di un vecchio monaco e di un pugno di ragazzi.. Era tanti anni fa, ancora si poteva stare nelle grandi stanze adibite a celle, e in ogni cella c'era un Congdon, e la cosa strana e bella è che non è che c'era solo un Congdon in ogni stanza, ma se andavi in cappella c'era proprio Congdon, il grande artista, coi suoi occhi luminosi, e lo potevi salutare, e ti sorrideva, parlarci non tanto perché era molto silenzioso. Un mio amico, uno dei più cari, nato a Napoli ma più brianzolo di tutti i brianzoli che io abbia mai conosciuto, tanto da aver fatto innamorare con disperata tenacia una donna che della Brianza è una vera incarnazione, ecco, questo mio amico mi ha dato quel librone, lui naturalmente lavorava nella cella, si era portato uno dei primi PC trasportabili, bianco, enorme, un bestione, con un monitor piccolo piccolo a fosfori verdi, però lo sapeva che io invece non studiavo, e per dare una stampella al mio divagare, credo, mi ha dato il Cavallo Rosso.

E io ho letto quella grande epopea sdraiato sotto al Congdon che c'era nella mia stanza, fra le rogge tra Buccinasco e Binasco. L'ho letto così, tutto d'un fiato, tra un Ora Terza e un Vespro, tra un Mattutino e una Messa, tra una camminata fra i campi di soia conversando con un monaco (brianzolo) che mi raccontava della sua vocazione, e di quando andò in montagna sapendo che era l'ultima volta che ci andava, e godendola proprio perché l'ultima, e io gli dicevo invece che se mi fossi tuffato in mare sapendo che era l'ultima volta che ci nuotavo sarei come morto, sarebbe stata proprio una morte, ma lui mi rispondeva che nelle giornate limpide era tanto contento di vedere le Grigne e il Resegone, anche se da lontanissimo.

L'ho letto, e mi era piaciuto tanto, però non proprio tantissimo, non perché si vedeva che Corti odiava i toscani ( perché saccenti ma stupidi, spacconi nella vita ma codardi in battaglia, e ignobilmente bestemmiatori), ci mancherebbe, non per quello, anzi per quello io lo condivido. Ma perché i suoi personaggi erano tutto bene e tutti Bene, non peccavano mai, neppure nell'amore peccavano, neppure nella guerra peccavano, neppure nella ritirata di Russia o nelle camminate sulla spiaggia con la fidanzata che sono pericolose e difficili uguale, anche se più corte di solito, ma puoi morirci lo stesso di fuoco e di gelo, e io mi dicevo che era impossibile, come facevano a essere così integri, così retti, e infatti ero e sono un toscano. Eugenio Corti aveva questa idea dentro, un'idea d'ordine, un'aspirazione alla rettitudine, non sopportava la rivolta, il grido, la bestemmia, per questo non potevo rispecchiarmi in Michele, in Stefano o in Manno, anche se avrei voluto, Dio lo sa se avrei voluto. Infatti l'unica volta che l'ho visto, Corti, lui era vecchissimo, io mi sono presentato come ex soldato e docente della Cattolica, ma ho taciuto sull'origine toscana. Eugenio Corti diceva "Dopo anni di scemenze dei fascisti, nel dopo-guerra ci hanno proposto come modello il Partigiano, invece dell’Alpino. E’ stato un peccato. Intendiamoci, in sé non era un modello negativo, ma era un ribelle. Ma una volta ristabilita la democrazia, a cosa bisognava ribellarsi? Non a caso, di lì in avanti, ci si ribellò a scuola, famiglia, genitori… Un insieme di pensiero e di condotta non positivo. Invece, l’Alpino…". Ecco: un toscano a queste cose non può crederci, un toscano è partigiano prima ancora di avere un'idea, e spesso anche senza mai averne una.

Se ne vanno i pezzi della scacchiera della giovinezza. Eccoti Eugenio Corti alla tua personale apocalisse, ora hai incontrato anche l'ultimo dei Quattro Cavalieri. Ma la Brianza rimane grigia e indaffarata, pochi magari si sono accorti che sei andato via, con l'archivio immenso dei tuoi ricordi. Chissà se è avvenuto anche per te quel capovolgimento e quegli incontri che hai descritto alla fine del tuo librone letto in un'estate di un milione di anni fa - tra campi, monaci, trattori, canti gregoriani, amici veri e un futuro tutto da scrivere - da un Leonardo che più non esiste, se pure è esistito mai. Quella ultima pagina, quando Alma, la moglie del protagonista Michele, che poi saresti tu Eugenio Corti, precipita in auto dalla strada che porta da Lecco a Sondrio, piombando nel lago.

"La donna udì lo stridore del metallo contro i ritti di pietra del parapetto e urtò in pari tempo con terribile violenza il capo. Dopo di che non si accorse più di niente; non si accorse che la macchina, sfondato il parapetto, precipitava nell'acqua nera. Ebbe solo una lontana, lontanissima percezione di freddo, e fu la sua ultima percezione quaggiù.
Sulla sua anima, come due falchi, piombarono ad ali chiuse i due angeli: il suo e quello di Michele, pronti all'ultima difesa contro eventuali insidie all'ingresso del mondo degli spiriti. Ma non ci furono insidie.
Mentre, rotolando lentamente sott'acqua, la macchina col corpo ormai senza vita d'Almina precipitava giù giù verso il fondo del lago, la sua anima e i due angeli affiorarono insieme nell'aldilà, nel mondo per noi inimmaginabile perché fatto unicamente di spirito. Sorridendole senza sorridere, e parlandole senza parlare, gli angeli - splendide creature a mezzo tra raggi di luce e soldati - diedero il benvenuto ad Alma: <Sei qui, gattino di marmo?> la accolse all'incirca, con molta familiarità, il suo (e chi mai aveva avuto con quella creatura più costante familiarità di lui, l'angelo invisibile, messole accanto da Dio ancor prima che nascesse?) Scorgendo negli occhi non più materiali di lei la domanda: <E Michele? Cosa ne sarà di Michele senza di me?> l'angelo accentuò il sorriso in modo incoraggiante. <Verrà anche il suo momento> le rispose con piglio più soldatesco l'altro angelo: <questione solo di poche decine di anni, per chi sta qui lo stesso che niente.>
In un ultimo residuo di comportamento terreno, Alma sospirò.
Intanto intorno a lei cominciavano a configurarsi altre presenze spirituali: si accorse anzi che una di queste le stava venendo incontro. Era lo spirito d'una donna di incomparabile bellezza. Almina spalancò i suoi occhi nuovi: <Marietta!> esclamò: <Oh, Marietta, sei tu?>
Era proprio Marietta 'delle spole', che tante e tante volte aveva accompagnata Alma infante in chiesa o a passeggio lungo le strade acciottolate di Nomana, tenendola per mano. Non aveva più i capelli repulsivi né la faccia gialla né le gambe storte, aveva invece ancora - se pure non più fatti di materia - i begli occhi d'agnello che sulla terra sembravano così fuori posto nel suo povero viso: ma non erano fuori posto qui, dopo che tutto il resto della sua figura - pur senza propriamente cambiare - si era per così dire adeguato ad essi.
<Benvenuta Almina> la salutò con gioia Marietta: <Benvenuta.>
<Nessuno, a pensarci bene, era più degno di te del paradiso> mormorò estatica Alma.
<Oh, se è per questo siamo qui in tanti, in tanti> disse Marietta con voce angelica (ma che ricordava ancora in qualche modo la sua voce sempre un po' spaventata d'una volta) <perché non uno di quelli per cui Cristo è morto si perde, Alma cara, non uno; se non vuole. Vedrai tuo cugino Manno, e Giustina, e Stefano, col loro padre Ferrante, vedrai il Foresto, e suor Candida, e Romualdo, e anche il Praga d'Incastigo che - grazie alle preghiere instancabili di don Mario - il demonio non è riuscito a tenere soggiogato fino alla fine.>
A questo punto l'angelo di Michele fece un gesto circolare di saluto: <Beh, io devo tornar giù> disse con un mezzo sospiro, <il mio posto è ancora là>, e schiuse le ali per lanciarsi nel tragico mondo degli uomini."

E questa è la fine del tuo Cavallo Rosso, Eugenio Corti, la pagina 1274, e dico 1274. Ti auguro un paradiso così, semplice così, povero così, con gli angeli col cappello con la piuma degli alpini e i beati tutti del paese e delle cascine brianzole, e con lo spirito celeste che sospirando - o piuttosto bofonchiando - dice <Beh> (avete letto? dice proprio <Beh>), saluta e torna a laurà. Te lo auguro in questo post, scritto ma non rivisto dall'autore (toscano: pigro e codardo come quelli della sua terra).



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