Villacamilla, io, non l’ho vista tutta. Ne ho visto e
attraversato per qualche ora il cuore, che è la Casa, e ne ho conosciuto la
mente e l’anima, che è Sara. Ma non ho visto il suo corpo, le sue membra forti,
e fragranti, e antiche, e vaste. Perché non ho avuto il tempo. Per esplorarle
ci vuole infatti un tempo breve- che forse un giorno mi prenderò- e un tempo
lungo – che forse sfortunatamente non avrò mai. Il tempo breve è di mezza giornata – in jeep, ammonisce Sara – perché appunto, Villacamilla è tanto
grande, e i suoi boschi salgono tanto in alto fin quasi al monte Giovi - dal
nome che più romano non si può - e i suoi uliveti e le sue vigne scendono tanto
in basso, fin quasi al torrente Argomenna - dal nome che più etrusco non si può
-. Il tempo lungo ha a che fare con
le stagioni, con i giorni e le notti e il loro rapido o lento variare: andrebbe
visto, il corpo di Villacamilla, nella solitudine di qualche inverno piovoso e
noioso, nel palpitare di attesa di qualche primavera, andrebbe visto quando
niente succede se non l’accadere incessante del Tutto. Andrebbe visto assieme a
Sara e ai suoi uomini, gente che lo
conosce con i piedi, le mani, gli occhi e il cervello, che lo rispetta e che
non gli fa sconti, come lui non li fa a loro. Andrebbe visto sapendo le sue
parole, sapendo cos’è una marza per
esempio, o cosa significa gramolazione.
Villacamilla è il frutto di un uomo che la sperò, la sognò,
la immaginò, la pensò e la volle, di un uomo a cui - come a Mosè - non fu
concesso però di entrare nella sua terra promessa e che – secondo quanto
ricorda il Talmud – con un dolorosissimo bacio fu preso da D-o sul confine,
sulla soglia, quando già essa si intravedeva.
Villacamilla è la storia di una donna che raccolse questa
visione e la generò nell’audacia e nella speranza, mobilitando chissà da dove
energie esistenziali e di pensiero, sprigionando un’energia delicata e
indomabile.
Perché quando Sara racconta queste cose – ed è scesa la
sera, e si è seduti al fresco davanti alla casa, poggiati alle balaustre di
pietra, dopo aver gustato olio e vino e pane e miele e formaggio, e un glicine
antico, miracolosamente sfuggito a un anno in cui il sole voleva proprio
bruciarlo, distilla dall’alto i suoi aromi - quando Sara si ferma un attimo e
ti racconta queste cose, sembra che sia stato tutto sommato facile. Nessuna
enfasi, non si sprecano parole, mica si nasce bergamaschi a caso. Io accendo
con le parole il fuoco del mio ricordo, ma Sara ne sorriderebbe. Per lei è
così: si lotta con l’Angelo fino a che non spunta il sole, ci si sloga l’anca,
si riceve una benedizione e un nuovo destino, ma la mattina si torna al lavoro
come sempre. Solo, rimane qualcosa da raccontare una sera d’estate a qualche
amico, strizzando l’occhio e lasciando capire che si pensa già altro, si pensa
già oltre. Sembra tutto semplice, tutto lineare, sentendo Sara. Ma il toscano
che sono io, li conosce, i toscani. Non fa fatica a immaginarsi la loro
resistenza, il loro amaro sarcasmo, il loro spietato disincanto, il loro occhio
svalutante, la loro livorosa invidia, la loro nodosità d’anima che non cede
nulla a quella degli olivi. Con tutto questo - e forse con peggio ancora - Sara
ha avuto a che fare, certamente, anche se lei non ne parla, e anzi ti dice
proprio l’opposto, e cioè che ama questo luogo e questa gente e che si sente di
aver trovato quel posto da dove non si vorrebbe più tornare.
E sforziamolo ancora, il paragone, che D-o non se la prende,
e pazienza se qualche volta si eccede, mi si sfotterà, non me ne duole. Tanto
ho già cominciato, ormai non ho che da finir l’opera: e in fondo Sara è un nome
che si presta. L’ Argomenna non somiglia a un Giordano che è stato
attraversato? I poderi si chiamano Capanno, Peretola, ma potrebbero chiamarsi
Dan o Efraim o Zabulon o Neftali. La Casa una Gerusalemme, cittadella sacra – e
quindi ospitale; un tempo Torre, ora, caduta la torre, accoglienza. Sara venuta
da lontano anzitutto si mette ad ascoltare.
Ascoltare è riconsacrare, perché ascoltare è dare la parola al dio delle pietre
e delle acque, degli alberi e delle rocce e degli animali, e quindi rimette in
moto il processo rivelativo.
Sara ascolta, per esempio, la Casa. E cosa dice la Casa? Cosa ti
ha svelato? chiede l’impertinente che sono. E’ una casa silenziosa – risponde Sara – accogliente. Non ci sono rumori. Vuol dire che non è abitata da
quegli incubi buzzatiani che spesso – quando non si installano nei ruderi di torri leggendarie, nelle cappelle sperdute tra le selve, sulle
scogliere solitarie che il mare batte e batte - si trovano bene in certe
case abbandonate, e le fanno pulsare di inquietudine. Ma aveva bisogno di essere
scaldata, aggiunge Sara. Penso al grande camino di pietra che domina il
salone principale. Lo penso pieno di ceppi crepitanti. Non sono sulla buona
strada. Si parla di un diverso calore, che ha a che fare con il crepitare della
bellezza e del significato.
Sara ascolta, per esempio, la terra. Se ne prende cura.
Salva dove si può salvare, innova dove invece si deve innovare. Sperimenta,
anche coraggiosamente, perché altrimenti tradirebbe la tradizione. La terra,
ascoltata, comincia a lasciar scorrere latte e miele, vino e olio, i
meravigliosi frutti di Villacamilla, la metà dei quali oltrepassa il vasto mare
per andare ad accendere i sensi di qualche americano, che improvvisamente si
struggerà di desiderio per un bene che forse non conosce, e resterà lì, stupito,
a guardare la bottiglietta di olio color verde cupo sulla sua tovaglietta
accanto al ketchup, e a chiedersi cosa sia successo, quali siano le ragioni di
quello strano sentimento che l’ha preso.
Villacamilla, intendo la Casa, ti accoglie e in pochi
istanti ti senti a casa. Ti dà un letto che ti farà dormir bene, in stanze
spaziose e dotate di personalità spiccate, imprevedibili, come antiche
giovanette gozzaniane. Ti nutre di cose buonissime, che risvegliano dentro una
beatitudine più profonda. Ti consente di esser fuori restando dentro, con
finestre-quadri che non stancano di meraviglia. Ti consente di rimaner dentro
pur trovandoti fuori, tanto nitida è la corrispondenza tra le forme
dell’esterno e dell’interno, tanto armonico il risultato dei saggi costruttori.
Ti lascia andar via senza fronzoli: mica le dispiace che tu vada, ha del lavoro
da fare fin da stasera, e non le importa se ti ritrovi a chiederti in quale
quadro manierista hai visto quel focolare col cagnolino bretone bianco, nero e
fulvo. Fatti tuoi: Villacamilla ti riceve con piacere, eleganza, con buone e
affettuose maniere, ma ha i campi e le vigne e i boschi e gli animali da
accudire.
Villacamilla non l'ho conosciuta. Ci vorrebbe un tempo che non
ho. Villacamilla però l’ho incontrata,
come quando sul treno – dove sto scrivendo adesso – incontri una persona, e ci
parli tre minuti, e ti sembra stranamente di sapere tanto di lei, ti sembra di
intuirla, e ci ripensi la sera, e il giorno dopo, e ti rimane poi sempre un punto
luminoso di bellezza all’altezza del cuore. E una nostalgia per qualcosa che ti
chiama dal futuro.
Ho incontrato Villacamilla parecchio tempo prima di leggerne sul blog. La prima volta fu almeno 6 anni fa, durante il primo commosso incontro con Sara, essa apparve di sfuggita nelle sue parole. Poi negli anni sono venuto ad incontrarla più volte.
RispondiEliminaHo il ricordo del mio primogenito S. che corre a piedi scalzi nel prato, con l’erba appena tagliata, la foto campeggia sul mobile della sala, e quando qualche giorno fa l’ha rivista mi ha chiesto: “Quando ci torniamo papà?” . Ricordo con tenerezza l’incontro tra Silvia mia moglie in attesa del mio secondogenito D. con Sara inconsapevole che C. aveva già preso casa nel suo ventre, un annuncio avremmo scoperto poi che sapeva di visitazione. Infine ho voluto fortemente celebrare qui l’anima dell’impresa che guiderà le mie scelte future.
Eppure,
le parole di questo blog mi hanno restituito questa villa, la sua castellana e i suoi abitanti, trasformati di meraviglia, donandomi una consapevolezza nuova e più profonda del valore di questo incontro.
Il ragazzo con turbante e mazzo di fiori di Sweerts che fa da angelo ispiratore a questo blog, mi ha offerto i profumi, i colori e la tenerezza dei fiori colti nel proprio giardino interiore, volto ad oriente, irrigato dalla commozione e illuminato dalla meraviglia.
Condividere un’amicizia è forse l’unico modo per rinnovarla. Grazie