Almeno un
merito il film ce l'ha: quello di mostrare una Toscana lontanissima dalle
oleografie. Idealizzata nella mente del protagonista, Siena risulta in effetti
meschina, letale, odiosa e piena di mostri, tal quale Palermo insomma, ma di più: Palermo - paradossalmente - si riscatta nell'evidenza
dell'orrore. La skyline della città 'ideale' invece ('ma ideale
per cosa?' si chiede un poliziotto siciliano che rimpiange la sua Paternò) si staglia su cieli freddi, come scenario bello e
impassibile di storiacce e di crimini, e di quel crimine che tutti commettiamo,
tutti, ovverosia vivere.
Lo
Cascio, Dustin Hoffman nostrano, architetto (ovviamente) ed ecologista estremo,
fantasioso senza leggerezza, costruttore di macchine steampunk per il risparmio
energetico che evocano il settecento macchinolatrico, ma che basta deviare un
secondo lo sguardo e ti si svelano come strumenti di tortura fisica e morale,
in una notte di pioggia entra in un incubo giudiziario. Il fatto che ti venga
in mente Kafka dopo cinque minuti (anche per i tratti fisici del protagonista) è uno dei grandi limiti del film. Che risulta troppo
'telefonato', direbbe un mio amico, troppo esplicito. Ci sono in giro troppi
idealtipi, i quali tuttavia non mancano di collaborare a produrre quel basso continuo di inquietudine che è la cosa che alla fine ti porti a casa.
Mai
fidarsi della bellezza toscana, l'ho sempre detto, se i turisti di giornata e i
frequentatori di agriturismi sapessero quale groviglio di vipere, quale panier
des crabes, si nasconde dietro quelle finestre semichiuse su muri medievali di
pietra rosa, se lo sapessero tornerebbero rapidamente alle piantagioni di mais
del Nord Dakota. Stephen King, in Toscana, viene letto come le fiabe di
Cappuccetto Rosso.
Neanche
tanto grave l'orrore in cui si trova imprigionato Grassadonia/Lo Cascio.
Incrocia anche un angelo ammalato che giustamente sceglie Siena per la sua
agonia, dipingendo acquerelli fotogramma in cui la tarantola uccide la mosca, e
l'antilope viene divorat
a dal felino. Forse i due potrebbero provare a
guarirsi. Non accade. Per la mediazione, naturalmente, di una madre bellissima
e terrificante, nelle sue rughe aristocratico-popolari e nel suo affetto
implacabile, Grassadonia viene ripreso dalla sua terra e riportato a casa, a Palermo:
dove - se appena si va oltre il cliché - tutto accade alla luce del sole, altro che omertà.
Difetti.
Troppi incubi nell'incubo, troppi "oooh!" con l'attore che balza
seduto e sudato sul letto. Siena sarebbe stata sufficiente, come incubo ideale.
E poi, imperdonabile: in un film su Siena non si deve mai mai mai e poi mai
neppure alludere ai cavalli.
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