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domenica 28 aprile 2013

La città ideale?


Almeno un merito il film ce l'ha: quello di mostrare una Toscana lontanissima dalle oleografie. Idealizzata nella mente del protagonista, Siena risulta in effetti meschina, letale, odiosa e piena di mostri, tal quale Palermo insomma, ma di più: Palermo - paradossalmente - si riscatta nell'evidenza dell'orrore. La skyline della città 'ideale' invece ('ma ideale per cosa?' si chiede un poliziotto siciliano che rimpiange la sua Paternò) si staglia su cieli freddi, come scenario bello e impassibile di storiacce e di crimini, e di quel crimine che tutti commettiamo, tutti, ovverosia vivere.

Lo Cascio, Dustin Hoffman nostrano, architetto (ovviamente) ed ecologista estremo, fantasioso senza leggerezza, costruttore di macchine steampunk per il risparmio energetico che evocano il settecento macchinolatrico, ma che basta deviare un secondo lo sguardo e ti si svelano come strumenti di tortura fisica e morale, in una notte di pioggia entra in un incubo giudiziario. Il fatto che ti venga in mente Kafka dopo cinque minuti (anche per i tratti fisici del protagonista) è uno dei grandi limiti del film. Che risulta troppo 'telefonato', direbbe un mio amico, troppo esplicito. Ci sono in giro troppi idealtipi, i quali tuttavia non mancano di collaborare a produrre quel basso continuo di inquietudine che è la cosa che alla fine ti porti a casa.

Mai fidarsi della bellezza toscana, l'ho sempre detto, se i turisti di giornata e i frequentatori di agriturismi sapessero quale groviglio di vipere, quale panier des crabes, si nasconde dietro quelle finestre semichiuse su muri medievali di pietra rosa, se lo sapessero tornerebbero rapidamente alle piantagioni di mais del Nord Dakota. Stephen King, in Toscana, viene letto come le fiabe di Cappuccetto Rosso.

Neanche tanto grave l'orrore in cui si trova imprigionato Grassadonia/Lo Cascio. Incrocia anche un angelo ammalato che giustamente sceglie Siena per la sua agonia, dipingendo acquerelli fotogramma in cui la tarantola uccide la mosca, e l'antilope viene divorat
a dal felino. Forse i due potrebbero provare a guarirsi. Non accade. Per la mediazione, naturalmente, di una madre bellissima e terrificante, nelle sue rughe aristocratico-popolari e nel suo affetto implacabile, Grassadonia viene ripreso dalla sua terra e riportato a casa, a Palermo: dove - se appena si va oltre il cliché - tutto accade alla luce del sole, altro che omertà.

Difetti. Troppi incubi nell'incubo, troppi "oooh!" con l'attore che balza seduto e sudato sul letto. Siena sarebbe stata sufficiente, come incubo ideale. E poi, imperdonabile: in un film su Siena non si deve mai mai mai e poi mai neppure alludere ai cavalli. 

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