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venerdì 17 aprile 2015

Elfi, fate, gnomi e il Dolce Desiderio

Sembra oramai passato un secolo, tanto cattiva nuova segue a cattiva nuova, ma il volo Germanwings 9535 è sempre lì, sì, l’Airbus che è partito da Barcellona per Colonia e invece plana rapidamente, però anche lentamente, fino a schiantarsi nei pressi guardacaso di Barcelonette, nelle alpi francesi, proprio nei territori in cui Hugo immaginò la diocesi del vescovo Bienvenu dei Miserables. Quel volo – almeno nel mio dentro, ma forse anche in quello di molti – non ha ancora finito di precipitare nei luoghi più remoti e irraggiungibili (dai soccorsi razionali) del mio immaginario, non ha ancora finito di polverizzarsi. Eppure la vicenda è stata esaminata a fondo, i lacerti delle vittime – e anche del folle suicida, Lubitz, Lubitz, ossia figlio (-itz, come –sen o –son) del lub, cioè del love, lieb, libido, insomma, del desiderio – sono stati recuperati, e i genomi dei de cuius sono in via di identificazione. I parenti e gli amici hanno versato le lacrime che avevano e quelle che non avevano, come sempre succede. I capi della Lufthansa hanno annullato le feste dell’anniversario. La notizia, dopo una graduale retrocessione di pagina in pagina, di schermata in schermata, è alla fine scomparsa. Ma quell’aereo ancora sta girando ed ecco, un tizio come tanti, uno normalissimo, voglio dire: non un deviante, gli piglia un amok che anche un malese se lo sogna, entra nel Tribunale di Milano e spara al giudice, all’avvocato (il suo), al coimputato, e poi esce e se ne va in moto a Vimercate, dove viene arrestato: meglio così, essere arrestati a Vimercate non deve fare così male. Stiamo dando addio anche a lui, e speriamo che ora si prendano tutto lo spazio le futilità note della frammentazione della destra e della sinistra. Ma anche il tizio che spara ce l’ho dentro, è lì proprio dentro di me, e l’Airbus vola sopra Vimercate e lui lo guarda, assorto, perché dentro il tempo e lo spazio vanno diversamente, si confondono, si intrecciano, e già per esempio si sente il rumoreggiare dell’esplosione che presto verrà. 

Per fortuna, nei momenti bui, vi sono anche notizie diverse, marginali certo, ma non tanto che internet non faccio girare qualche foto. ADN Kronos riporta che il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, da cui dipende il Corpo Forestale dello Stato, tiene da quindici anni un fascicolo su strani avvistamenti:  e te la vedi lì fotografata, una cartellina d’un verduzzo burocratico che vien quasi da piangere, buttata su un tavolo, gonfia e aperta, mica un faldone tipo quelli americani con scritto classified, o top secret, o confidential, o for your eyes only che sembra quasi – tanto da esserlo davvero – il titolo di un film di 007, no no, una cartellina ministeriale con sopra scritto a penna Gnomi e Fate del Bosco.



Non poteva certo Gianluca Nicoletti, giornalista e creatore di Golem e di Melog, e frequentatore delle zone anche più eterodosse e bizzarre della contemporaneità – astenersi dall’esercitare il suo affilato e a tratti perfido rotacismo proprio su questa notizia che affiorava in mezzo alle tragedie. E lo ha fatto con una mezz’oretta godibilissima di radio. C’era pure il collegamento telefonico con l’Esperto (esiste ovviamente anche l’Esperto di folletti). Si raccolgono testimonianze, e immediatamente – come dice Nicoletti: nell’ora del soffritto, ossia tra le dodici e mezza e il tocco – millanta telefonate ingorgano il centralino. Raccontano di fate bellissime che seducono nelle notti di luna i giovanotti danzando con loro, tradite però dai loro zoccoli caprini; di coboldi che si introducono in pensioncine di Francoforte e terrorizzano brianzoli impegnati ad elaborare una cena pesante; di streghe buone che accompagnano i pellegrini sul Cammino di Santiago; di monoliti neri e terribili che balzan fuori dall’inconscio collettivo, o da dimensioni liminali, con intenti omicidi; di viscide ombre che ti toccano nella torrida controra siciliana; di un Bigfoot avvistato in val Grande, e che poi non era un Bigfoot, ma in effetti un ex autista di autobus di Gallarate, impazzito per una delusione d’amore e inselvatichitosi fra i dirupi (e questo è ben più prodigioso di un Bigfoot, un autista di Gallarate che diventa erede del Chisciotte e dell’Orlando). E non può mancare alla fine il dottore, che dice che c’è una sindrome chiamata “di Bonnet” che genera allucinazioni antropomorfe. Come questo accada non si è capito, sembra abbia a che fare con la retina, ma certamente è piuttosto rassicurante chiamare le visioni sindrome di Bonnet

Mi ricordo l’episodio delle fate di Cottingley. Allora. In un paesino del West Yorkshire, in Inghilterra, nel 1917 (sarà il caso di ricordare che nel medesimo anno, a Fatima, la Vergine appare in Portogallo ai tre pastorelli Francisco, Giacinta e Lucia? Fatima c’entra con tutto) ci sono due ragazzine – Frances e Elsie, di dieci e sedici anni – molto sveglie anche se dai volti sognanti. I loro cromosomi si sono formati nell’abbraccio di quelli appartenenti a un ingegnere con quelli appartenenti a una teosofa: il che credo spieghi molto. Fatto sta che un giorno le ragazzie prendono la macchina fotografica a lastre del padre, vanno nei pressi del Cottingley Beck, il torrente che scorre vicino, e realizzano alcuni scatti in cui compaiono – chiarissimamente – delle fate, fate di quelle inglesi, per intenderci, piccole, con i capelli lunghi e le alucce di farfalla o di libellula, che danzano e suonano il flauto. Ovvio che il padre pensi che siano false, e che la madre sia invece assolutamente certa della loro autenticità, e le diffonda. Ne vien fuori un dibattito che non ha precedenti nella storia, pur infinita, dei tentativi umani di fornire ‘prove’ dell’esistenza del sopra-, del preter-, del paranaturale. Studiosi e intellettuali si schierano – anche attraverso articoli su riviste che oggi definiremmo ‘censite’ – a favore o contro. Progressivamente le ragazzine ammettono che insomma, non sanno bene, poi che certo, l’immaginazione e il volerla veder realizzata ha avuto la sua parte, poi che alcune erano false ed altre no. Fotografi e scienziati ne discutono fino agli anni settanta. A metà degli anni ’80 Frances ed Elsie sono morte: ma Frances, fino alla morte, affermò la piena autenticità almeno della quinta fotografia.



E’ interessante sapere che il paladino più insigne dell’autenticità delle foto di Frances ed Elsie sia stato il superpositivista sir Arthur Conan Doyle, ossia il celebre autore di Sherlock Holmes. Vi scrisse anche  un libro: The Coming of the Fairies, nel 1922. Nell’introduzione al suo straordinario Pilgrim’s Regress, anche lo scrittore cristiano CS Lewis prende posizione su questa vicenda. Nella sua accurata fenomenologia del desiderio – che egli identifica come componente strutturante dell’esistenza umana, e accesso privilegiato all’esperienza spirituale – esso viene descritto come qualcosa di acutissimo e in sé stesso desiderabile. Questo lo distingue dalle altre voglie: la fame può essere qualcosa di gradevole solo in previsione di un buon pranzo, altrimenti è solo spaventosa: ma il desiderio no, esso è ritenuto prezioso anche se non vi è in vista alcuna possibilità di soddisfazione. Inoltre, pur essendo certamente volto verso un oggetto, esso è impreciso e mutevole: un luogo lontano, o forse la persona amata, o magari no, forse la magia, o magari la conoscenza intellettuale delle cose. Insomma – direi – l’esotico, oppure l’erotico, oppure l’estetico, oppure la conoscenza scientifica, ma in realtà niente di tutto questo, in realtà di Chi si manifesta attraverso questi aspetti, che sono sue soglie, ma che è molto molto di più. Quando sir Arthur Conan Doyle pretese di aver fotografato una fata, io – in effetti – non gli credetti: ma il semplice fatto di averlo affermato (…) mi ha fatto realizzare che se il fatto fosse stato accertato avrebbe ‘paralizzato’ – piuttosto che soddisfatto – il desiderio che le fate avevano fino ad allora risvegliato. Una volta acclarato che il tuo mondo fatato, la tua foresta incantata, i tuoi fauni, i tuoi satiri, le tue ninfe del bosco e la tua sorgente dell’immortalità sono ‘reali’ – con tutte le conseguenze che vi sarebbero sul piano scientifico, sociale – il Dolce Desiderio sarebbe scomparso da quel mondo e ci starebbe chiamando da un luogo ancor più lontano, scrive Lewis. Se posso fotografare una fata, questo significa che fa parte dell’aldiqua, che quindi potrei catturarla, classificarla, tassonomizzarla, cercare di comprenderne il comportamento, magari sezionarla per descriverne l’anatomia. Non solo potrei: dovrei. Ma - così facendo – il desiderio prenderebbe dimora Altrove, perché non è nell’aldiqua che lui abita. 

Credo che questo sia l’errore della Randi Foundation, che promette un milione di dollari a chiunque sia in grado di dimostrare una qualunque facoltà paranormale o soprannaturale in condizioni di adeguato controllo. Chi lo facesse avrebbe soltanto dimostrato che qualcosa ritenuto soprannaturale è in effetti assolutamente naturale, solo che fino ad allora non era stato osservato correttamente. Le sedute spiritiche avvengono in luoghi bui: mi sembra chiaro. Come è evidente che non ti leggo i pensieri e non ti piego le posate a comando, per di più mentre sono dentro una macchina per risonanza magnetica. Domanderei volentieri a uno del CICAP di far l’amore con la sua morosa sotto le luci di una sala operatoria, con osservatori e valutatori da ogni lato, con i corpi di lui e di lei cosparsi di sensori e con le loro teste strette nei caschetti pieni di fili di un EEG. Se ci riesce è di sicuro bravo, ma se non ci riesce – come è probabile – non penso che la sua conclusione sarebbe che andare a letto con la sua morosa è impossibile. Sosterrebbe che le condizioni non erano adatte. Presumibilmente, perché vai poi a vedere come si comportano a letto quelli del CICAP.

Quindi non so cosa pensare del fascicolo verdolino della Forestale, delle foto e dei racconti che ci sono dentro. Però mi chiedo che esperienza mai sarebbe incontrare una persona che tenesse nelle sue mani, nei suoi occhi, nel suo cuore, nel suo corpo il quotidiano e lo straordinario, il reale e il magico, il naturale e il soprannaturale, l’effimero e l’eterno. Il divino e l’umano. Cosa sarebbe guardare questa persona. Mi immagino che all’inizio la sensazione sarebbe di disagio, forse anche un po’ di nausea, perché il Dolce Desiderio, allenato com’è a scartare le zeppe consolatorie di falsi compimenti, proverebbe con tutte le sue forze a scartare anche il Vero Compimento. Chiuderemmo gli occhi, no, no. Ma riaprendoli, eccola ancora lì. Il Dolce Desiderio la avvolge adesso come un mantello: eppure ecco, la puoi toccare, satura i sensi ma non li distrugge. Hai mai conosciuto persona che fosse molte cose in una, le portasse con sé, che ogni suo gesto, ogni pensiero che tu fai di lei racchiudesse infinite cose della tua terra e del tuo cielo, e parole, ricordi, giorni andati che non saprai mai, giorni futuri, certezze, e un’altra terra e un altro cielo che non ti è dato possedere? dice Endimione al dio straniero nei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. 

Forse qualcosa del genere è accaduto ad alcune donne e ad alcuni pescatori, forse dico, a Gerusalemme, in una sera di Pasqua come queste. Noi continuiamo solo ad aver dentro il Dolce Desiderio, come abbiamo dentro il volo Germanwings, e il tizio che spara, e l’esplosione che verrà.



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