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giovedì 10 ottobre 2013

[Un anno dopo] Dimmi tu luna in ciel. Undici ottobre MCMLXII

Ho pensato di riproporre anche sul blog alcune note scritte altrove, per esempio su Facebook, a distanza di un anno, o di due. Tutto cambia così in fretta. Questa è stata scritta solo un anno fa, e sembrano secoli, considerando quanto è accaduto a quella finestra di Roma. E alla mia anima.


10 ottobre 2102, ore 12.44
Quella sera avevo centonovantotto giorni. Da centonovantaquattro ero diventato cristiano. Due genitori - una giovane madre e un padre un po' meno giovane e segnato dalla guerra - avevano portato un bimbo nella chiesa di san Marco a Firenze. Qui, tra l'incanto misterioso degli affreschi dell Beato Angelico e le risonanze squassanti delle prediche del Savonarola, tra il frullar d'ali multicolore dell'angelo Gabriele e le memorie del terribile frate bruciato sul rogo, tra meraviglia e tragedia, un religioso domenicano mi ha preso tra le sue braccia, mi ha asperso d'acqua, mi ha segnato d'olio profumato, e ha detto sopra di me delle parole nel nome della Trinità santa.Quella sera il bambino che ero presumibilmente dormiva. Marylin Monroe aveva da pochi mesi lasciato il suo corpo nelle oscure circostanze che sappiamo. I Beatles avevano inciso il loro primo 45 giri 'Love me do'. Nelle sale cinematografiche c'era il primo 007 'Licenza di Uccidere'. Dopo pochi giorni nelle edicole sarebbe comparso il primo numero di Diabolik. La crisi dei missili di Cuba.
Quella sera un Papa si appoggiò al davanzale di una finestra e si mise a parlare alla Luna come un innamorato. Era la vigilia dell'inaugurazione del Concilio Vaticano II. Che io sappia, il primo e l'ultimo Pontefice che si sia mai rivolto all'astro notturno. Chissà se era consapevole di quello che faceva. Il discorso della Luna. Il discorso della carezza del Papa ai bambini, che chissà su quante piccole fronti dormienti è discesa, e forse perfino sulla mia. E tutti a dire che bello, tutti ad ammirare il gesto informale, familiare e poetico. "La mia persona conta niente, conta niente..."
Eppure, rivolgendosi alla Luna, il Papa forse per un attimo scordò il Sole. O Oriens, splendor lucis eternae, et Sol iustitiae. Non fu la sentinella a cui viene rivolta l'angosciosa e speranzosa domanda 'Quanto manca alla notte?' (Isaia 21). Si sentì sedotto dal chiarore acquoreo dell'astro femminile e mutevole, e della sua chiaroscuralità d'argento. Per un attimo non volle lodare, non volle affermare, non volle pensare con desiderio al paterno e bruciante sfolgorare, verso cui tutti gli altari e le chiese del mondo erano volti, per celebrare il sacrificio. E fu molto. E fu tutto. Pose la Chiesa sotto la protezione della Luna. La Luna se la prese.
Crollò di schianto il pensiero cristiano come lo si era sempre pensato. Si trasformò il rito: i preti volsero d'un tratto le spalle al Sole, le spalle a Cristo: e guardarono in faccia gli uomini e si fecero guardare in faccia. Ed è sempre una voragine una faccia. San Pietro sembrava immutata quella sera d'ottobre: eppure uno che fosse entrato dentro non avrebbe più trovato il pavimento, ma un abisso senza fondo. La Verità si trasformò in verità, e quindi fu ancora più vera, perché la Verità è sempre Falsa. La svolta ermeneutica della teologia: le verità dogmatiche come proiezioni di forme comprensibili sulla parete della caverna platonica dell'Essere. Ne scaturì un cinquantennio cristiano intenso e terribile, autunno più che primavera. Non ci si affida alla Luna senza conseguenze. Ben lo sapeva il Serafico, quando - per non essere catturato dagli abissi simbolici - chiamò sole e luna 'fratello e sorella', e non Padre e Madre. Suoi pari, suoi compagni d'avventura, non oggetti di un desiderio trasognato.
Ora quel bambino ha 18.448 giorni, passati nel chiarore lunare. E' tempo di rivolgersi al Sole. Che è in Oriente. E brucia i deserti dove ruggisce il Leone di Giuda.


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