Nonno: il nome in greco vuol dire puro, santo, venerabile. Nonno
fa onore al suo nome anche adesso, sotto il portico bianco della basilica che
lo protegge dal sole di Antiochia: è figura veramente venerabile. Gli hanno preparato un sedile un po’ più
alto degli altri che sono con lui, un piccolo gruppo di vescovi e presbiteri
locali riunitisi al fine di discutere di alcuni affari ecclesiastici. Il
giovane arcidiacono si prende cura di lui con ammirazione e devozione, lui però
sembra indifferente, ha il cranio calvo e lucido, la barba lunga e candida, il
mento poggiato sul petto coperto da un logoro omoforion bianco a grandi croci
nere. Socchiude gli occhi azzurrissimi, circondati da piegoline della pelle
come raggi di un ostensorio. E’ stanco. Sogna il suo deserto, da cui
l’obbedienza l’ha strappato per convocarlo in città e ordinarlo episcopo e
primate. Sogna la sua grotta, le sue notti trascorse in piedi guardando
l’oriente, le sere in cui passava ogni tanto qualche confratello, e si
benedivano e abbracciavano reciprocamente, ma poi subito si lasciavano e
ritornavano alla gioiosa solitudine d’amore. Antiochia ribolle di calore
malsano – lui sogna il vento secco e infuocato fra le rocce, i vescovi parlano
e parlano – lui sogna il belato della sua capretta. L’arcidiacono lo guarda,
intenerito e preoccupato: conosce i termini delle questioni proposte, e vi
risponde come può e sa, facendo scudo al raccoglimento o alla vaghezza del vecchio vescovo.
Ora però l’arcidiacono sembra distratto. C’è movimento nella
piazza, i bambini corrono qua e là, un cane abbaia, ci sono grida di uomini e
tintinnii nell’aria. Il chierico è in piedi, afferra per un braccio un
ragazzotto che cerca un posto più alto per vedere. Che succede, gli chiede.
Voglio vederla, risponde. Chi. Pelagia la danzatrice, il sogno di Antiochia. Pelagia
la prostituta, vuoi dire. Quel che è: in giro si dice che della sua bellezza
non si potrebbero saziare gli uomini di tutto il mondo. Vattene ragazzo, e lo
allontana con una spinta. Eccola infatti, ecco la sua portantina, ecco i suoi
servitori che la precedono e la seguono, ecco il profumo acuto che si mescola
con l’aria densa. La lettiga ha le cortine aperte, si vede il suo volto
impastato di colori, si vedono i suoi occhi resi cupi dall’indaco che li circonda, si vedono le
sue braccia nude istoriate di henné. I vescovi ora si sono alzati, si voltano
dalla parte opposta, tuffano gli occhi nell’incavo dei gomiti per non vedere.
L’arcidiacono va verso la portantina, grida a quella gente di andarsene, di
tenersi lontano dai padri santi, i servi lo sfottono, Pelagia non sembra accorgersi
di nulla. Più lentamente di quel che il chierico avrebbe voluto, il piccolo
corteo scompare, la gente si disperde, i suoni si attutiscono, i profumi
svaniscono. Si volta verso il portico ed ecco cosa vede.
Vede i vescovi nuovamente seduti ai loro posti, le facce
rosse, le fronti corrugate, gli zigomi tesi. In mezzo a loro, Nonno è in piedi,
alto e dritto, ha fra le mani l’evangelario, e il suo volto è pieno di luce e
privo di stanchezza, gli occhi aperti fissi sul punto in cui la lettiga è scomparsa.
L’arcidiacono si avvicina: Padre, gli dice, e non aggiunge altro. Non ti
rallegra, gli dice piano piano il vescovo, poi, con voce più alta, fratelli, non
vi rallegra una così grande bellezza? Tutti tacciono, con le parole e con gli
sguardi. Padre, dice l’arcidiacono, e non aggiunge altro. E’ seduto ora, il venerabile,
e piange: le sue lacrime cadono sul libro santo, e ne bagnano le pagine. Alza
la testa, è tornato stanco e curvo, ma la voce è ancora forte: io mi sono
rallegrato molto, e molto mi è piaciuta la sua bellezza, e vi dico: Dio la
metterà al primo posto, e la stabilirà davanti al suo tremendo tribunale, per
giudicare noi e il nostro episcopato. Padre, dice l’arcidiacono, padre, e non
aggiunge altro.
Ad aggiungere qualcosa è un giovane vescovo dai capelli neri
e dallo sguardo in fiamme. Padre, cosa dici! Cosa ha a che fare la bellezza
dello spirito con quel fantoccio impiastricciato per attirare i suoi clienti!
Risponde a lui il primate: con quanta cura, fratello mio, quella donna si adorna per
il piacere dei suoi amanti, che oggi sono e domani non sono più; noi, invece,
non soltanto non orniamo la nostra anima, ma neppure laviamo il nostro cuore
per presentarci davanti all’Amore stesso.
C’è il caso, e c’è la Grazia: a volte danzano insieme. Sarà
che forse l’indifferenza di Pelagia non era proprio tale, e che anche lei è stata
colpita da quanto è accaduto davanti a quel portico. Sarà che Nonno, con la sua
voce di miele, incantava la gente parlando dalla sua cattedra. Sarà che niente
di tutto questo, e che ogni evento fu propiziato dagli angeli. Ma ora Pelagia, che
mai era entrata in una chiesa, che mai era stata neppure sfiorata
dall’inquietudine della coscienza, ora Pelagia – circondata dai suoi servi che
gli fanno scudo dagli sguardi di desiderio, dagli sguardi di riprovazione, e
dagli sguardi, la maggioranza, che sono insieme di desiderio e di riprovazione
– è in piedi nella basilica dove Nonno sta predicando. Come sempre, Pelagia si
accorge di ciò che prova perché il corpo glielo dice: un po’ stupefatta sente
le lacrime scendergli sulle guance. Le lacrime, aratri ardenti, aprono un solco
sulla resistente crosta del trucco.
Pelagia è ora davanti a Nonno, si è inginocchiata davanti al
suo sguardo calmo e azzurro. Padre. gli dice, imita il tuo Maestro e riversa su
di me la grande misericordia; Padre, fa di me una cristiana. Come ti chiami,
sorella mia, dice il vescovo. Pelagia, gli risponde lei, Pelagia che vuol dire
mare, ed ecco i miei peccati sono un mare, e i miei orrori un abisso.
L’arcidiacono – che ha visto e udito - guarda il vescovo. Padre, gli dice, e
non aggiunge altro.
Il vescovo vede la donna ai suoi piedi. Il monaco del
deserto conosce le belve, e sa bene la loro imprevedibilità. A volte un
brontolio sommesso annuncia il pericolo più di un tonate ruggito. Ma non ha mai
incontrato una fiera più pericolosa di lei. Come sempre succede quando soffia
il vento scompigliante dello Spirito che non si sa dove viene e dove va, ci si
rifugia nella capanna della Legge. E, quando sente l’arcidiacono dire a Pelagia che i
santi canoni impediscono di ammettere al battesimo una prostituta se non dopo
molto tempo passato sotto la guida di persone esperte che garantiranno che essa
non torni ai suoi peccati, chiude gli occhi e annuisce. Pelagia, che non ha mai
cessato di piangere, con le lacrime bagna i piedi del vescovo e coi capelli li
asciuga, facendo rivivere il suo prototipo evangelico.
Adesso però si è alzata, e guarda Nonno con uno sguardo
dardeggiante, implacabile. Padre, dice, renderai conto a Dio della mia anima;
io ricadrò nel mio peccato: ma sarai tu a portarne la colpa; non avrai parte
con Dio e con i santi, sarai ritenuto da lui un adoratore di idoli, se tu
adesso non mi salverai dalle mie iniquità, se non mi farai sposa di Cristo e
non mi offrirai a lui. Il vescovo comprende chi parla in lei, e prontamente,
monasticamente, obbedisce. Si prepari il sacro Fonte, ordina. Padre, dice
l’arcidiacono, e non aggiunge altro. Sorella, conclude Nonno, ti lascerò il
nome del mare.
Pelagia, battezzata e rivestita della veste bianca, rimane
per otto giorni distesa sulla pietra della basilica, i piedi nudi, le braccia
in croce. Ha dato gli ordini ai servitori di disfarsi di tutte le sue ricchezze
donandole ai poveri. Poi depone l’abito candido dei neofiti, indossa una logora
veste color del deserto, e scompare.
Anni trascorrono, e il vescovo è oramai vecchissimo,. Un giorno
riceve dei monaci di un cenobio molto remoto: ha sempre piacere di incontrarli
e di sentire il profumo della vita e dell’amore da cui amore e vita lo hanno
costretto a allontanarsi. I monaci gli parlano di un santo eremita, un recluso,
l’abitante di una grotta strapiombante su una falesia; loro gli portavano del
cibo, pochissimo, e lui, forse nella notte scendeva, o volava chissà, e lo
prendeva. Ma da tempo il cibo non viene più toccato e si suppone che
l’anacoreta sia morto. Pelagio, aggiungono, era il suo nome. Il volto di Nonno
si apre in un sorriso di comprensione. Manderò dei chierici a raccogliere le
spoglie del recluso, dice, perché desidero che siano venerate in questa chiesa.
Padre, dice l’arcidiacono. Ma questa volta aggiunge: manda me.
Vanno i chierici con l’arcidiacono, che è l’unico a non
stupirsi quando trovano il corpo di una donna, di Pelagia, la santa prostituta,
ritiratasi nell’alcova di pietra per deliziare con la sua bellezza l’Amore
divino.
Se qualcuno oggi sale sul tetto del Duomo di Milano, e perde il suo sguardo nel fantastico popolo di figure in quel vistoso giardino marmoreo, come ebbe a definirlo Hermann Hesse, ossia alle statue collocate solo per l'occhio di Dio e degli angeli su vertiginose guglie di marmo, potrebbe incontrare - fra le milleottocento - quella di Pelagia la prostituta. Ma non è facile, perché ama nascondersi
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