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giovedì 9 marzo 2017

La Madonna di Medjugorje, san Giuseppe che dorme e altri postini

Che a Francesco non piacesse questa cosa delle apparizioni di Medjugorje, questo lo si sapeva benissimo. Il suo giudizio su di esse è sempre stato piuttosto sferzante, ai limiti del dileggio. Recentemente, in un’udienza concessa ai Superiori Generali maschili, è tornato a ironizzare sulla Madonna capufficio delle Poste che manda un messaggio al giorno. Curioso semmai è che, nel corso della medesima udienza, il Papa abbia raccontato come nella sua camera conservi una statuetta di san-Giuseppe-che-dorme (e che sogna, aggiungo io, soprattutto che sogna, Giuseppe è nomen/omen di gran sognatori), e come – quando è oppresso da qualche problema – lui scriva un biglietto e lo metta sotto tale statuetta, in modo da riposare tranquillo e senza angoscia. Chissà se - sotto qualche cappa, qualche lana monastica, qualche scapolare, qualche saio – qualcuno dei presenti si è reso conto di questa deliziosa flagrante contraddizione relativa al sistema postale (e ai postini) da e per l’Oltremondo.

Monsignor Ratko Peric, vescovo di Mostar (la diocesi che include Medjugorje) adesso riafferma la sua netta contrarietà rispetto a quanto sta avvenendo tra il brutto chiesone intonacato di bianco e il montarozzo sassoso di nome Podbrdo. Al netto delle ostilità che da tempo immemorabile vedono contrapposti clero diocesano e frati francescani – gelosi custodi della chiesa delle apparizioni – il vescovo così pensa dell’apparizione:
-              è una figura ambigua;
-              non parla mai per prima;
-              ride in maniera strana;
-              a certe domande scompare, poi ritorna;
-              obbedisce – pur controvoglia – ai veggenti e certe volte addirittura al parroco;
-              le tremano le mani;
-              certe volte ha con sé un misterioso bambino che alcuni veggenti scorgono e altri no;
-              da tempo promette un segno eclatante e irrefutabile, ma non mantiene mai tale promessa;
-              provoca svenimenti, nervosismo, e altri fenomeni bizzarri nei veggenti;
-              certe volte si lascia perfino toccare – l’espressione è toccamenti scandalosi – non solo sul mantello, ma anche sul suo stesso corpo.
Insomma, conclude il prelato, si tratta di un gioco magico e non del Vangelo di Cristo.

Devo ammettere di essere stato una volta a Medjugorje, e fu quando non era ancora molto famosa, agli inizi degli anni ’80. Ah, io ero così diverso da come sono adesso – dentro e fuori – che mi sembra davvero di parlare di un’altra persona. In piedi, nella sacrestia, quando i veggenti caddero in ginocchio, per quanto mi trovassi vicinissimo non provai alcuna emozione significativa, anche se non ebbi la sensazione di assistere a una recita. Uno del nostro gruppo era amico di una delle veggenti: e così trascorsi un pomeriggio a casa di lei bevendo succo di frutta e tè freddo e giocando nel giardino. Mi sono preso perfino un secchio d’acqua che la ragazza rovesciò ridendo da una finestra del piano superiore, il che mi fa appartenere a pieno titolo al club piuttosto esclusivo degli esseri umani colpiti da un gavettone di una veggente. Sono salito sulla montagna di notte a pregare: anche lì nulla di straordinario. Le benedizioni di padre Jozo – con tanto di contorsioni e svenimenti – mi provocarono invece una sensazione di nausea (e un po’ di sentore di zolfo), mentre non posso negare che lo schieramento di sacerdoti confessori sul lato della chiesa, all’aperto, e mai che fossero senza un penitente genuflesso vicino, fosse una cosa mai vista e piuttosto toccante. Quanto ai messaggi, già allora erano banalissimi ma innocui, esortazioni semplici alla penitenza, al rosario, al digiuno, solo leggermente intimidatori. Niente a che vedere con gli abissi tremendi (e con più di un risvolto politico: la guerra, il bolscevismo, il nazismo) delle apparizioni di Fatima, o alla sorgente di inspiegabili guarigioni (nonché conferma di un controverso dogma) che fu quanto avvenne a Lourdes o alle spaventose vicende de La Salette ("Non riesco più a trattenere il braccio vendicativo di mio Figlio!") che tanto affascinavano il cupo fiammeggiante Leon Bloy. Complessivamente tornai a casa persuaso che, se non era diabolica, era comunque cosa sciocca e di scarso interesse. Ma ero giovane. E rigido. E – soprattutto – non ancora mai stato in India. Perché in India avrei scoperto cose molto importanti.


Per prima cosa ho imparato che il sacro è una materia viscosa e appiccicosa, è una marmellata di senso che nutre e assieme impiastriccia. Il sacro è denso e scuro come il sangue, non puro e trasparente come l’acqua. Il suo contatto provoca nausea e estasi assieme. Il sacro precede il divino nell’esperienza umana, e – per parafrasare un famoso frammento di Eraclito – è giorno-e-notte, estate-e-inverno, guerra-e-pace, e muta come il fuoco quando si mischia ai profumi odorosi, prendendo di volta in volta il loro aroma; l’uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l’altra, per il sacro tutto è bello, buono e giusto. Il sacro non è presentabile in società, neanche – e particolarmente – nelle società religiose, per quanto ciò possa apparire paradossale, e ciò esattamente a causa di questa sua natura ambivalente e talora indecorosa e indecente.

[Excursus: un giorno ebbi l’occasione di ascoltare lo scrittore e studioso di cultura sarda Bachisio Bandinu. Raccontava di quando – per dilettare i turisti dei ghetti per ricchi della costa nord dell’isola – un’amministrazione comunale di una cittadina molto glamour ebbe l’idea di invitare i Mamuthones, figure terribili della Sardegna profonda, esito dell’imbestiamento sacro – ottenuto rivestendosi di maschere, pelli, cinghie e campanacci - in onore di Dioniso o di numi nuragici ancora più antichi e misteriosi. La speranza era quella di offrire ai ricchi villeggianti una sfilata di tipo carnevalizio, seppur fuori stagione, e di fargliela godere in tranquillità, mentre loro sorseggiavano il mirto o il vermouth nei dehors dei localini à la page. Fino a un certo punto andò bene. Poi accadde qualcosa di strano: Dioniso, o l’arcaico nume, si rese realmente presente nei figuranti, e la sua manifestazione esplose in violenza e furore. Il clima cambiò d’improvviso, non si vide più l’acqua turchese nelle baie dalla sabbia fine e candida, si velò il sole e il cielo virò nel cupo, addio porticcioli fighetti con gli yacht e le boutiques con i marchi prestigiosi. L’ira del dio – o sarebbe più giusto dire la sua misericordia -  si riversò nelle strade, rovesciò i tavoli, spaccò le vetrine. I villeggianti si rifugiarono negli hotel e si chiusero nelle camere, mentre la polizia cercava di mettere ordine nella disordinata danza di ciò che era ormai tutto fuorché un carnevale. Non si convoca il sacro senza esporsi al rischio della sua imprevedibilità, recando sempre con sé il sacro il suo aspetto perturbante]

Ma in India ho appreso anche altro. E cioè che esiste tutto un popolatissimo mondo sospeso tra l’essere e il non essere. In India questo è facile da capire, perché l’induismo medesimo nasce dall’impatto tra l’astratta, rigorosa, luminosa, diurna, desertica, sacrificale visione vedica (recata dai bianchi, nordici, ariani conquistatori provenienti dall’Iran) e i misteriosi culti dravidici del sud: scuri, sanguinosi, di foresta, di fiumi, di giungla, di fiere, di notte. Tale scontro geologico-spirituale ha sprigionato un intermondo multiforme, multicolore, inclusivo, pieno di dei e dee dai mille volti e dalle centomila braccia, ma ognuno di essi soglia, porta, accesso al divino purissimo e quintessenziale, senza immagine e forma o dualità. In questo intermondo l’indiano si muove con disinvoltura sorprendente, non avendo una concezione digitale (on/off) dell’esistere, ma piuttosto l’esperienza di un continuum analogico.

Ciò che in India è palese, tuttavia, accade ovunque, e l’intermondo cristiano – per esempio - è policromo e interessantissimo. Beninteso: gli abitatori di questo luogo intermedio non sono totalmente assimilabili – non so – agli archetipi junghiani o all’inconscio collettivo. Essi hanno una forma di esistenza parzialmente indipendente dalla psiche di chi interagisce con loro vedendoli, parlandoci, pregandoli, sognandoli, a volte avendoci relazioni sessuali (come accadeva frequentemente nell’epoca classica in occidente e tuttora accade in oriente), a volte avendo a che fare con loro in modi ancora più strani (l’incantevole Gemma Galgani aveva l’angelo custode che le preparava il caffè, e soprattutto che le recapitava la posta al suo direttore spirituale (anche qui la posta: ma è più che naturale che gli intermondiali abbiano la vocazione mercuriale di facilitare le comunicazioni e le connessioni). Essi sono il frutto di un incontro: Dio soffia sulla ribollente, greve – e talora malsana - palude del sacro che c’è nell’universo, e il suo soffio anima un’infinità di forme divine che poi vivono tra gli uomini e danzano con loro. Ma come gli uomini, spiriti incarnati o carni spiritate, non possono prescindere dalla pesantezza e dalle limitazioni dei loro corpi, così tali forme non possono interamente liberarsi dalla viscosità carica di ambivalenza che caratterizza il sacro della cui stoffa son fatte: e questo spiega il senso di disagio che ci prende quando si manifestano, come se fossimo al cospetto di qualcosa che non è fatto solo di luce. La più vertiginosa anima mistica del Novecento, Santa Teresa di Lisieux (e dico del Novecento ben consapevole che ne morì sulla soglia) ottenne da una di tali forme divine la liberazione da una malattia chiaramente psicosomatica: la Vergine infatti le apparve e lei fu guarita. Bambina, confidò alle sorelle che aveva visto. Ma era una bambina dallo spirito lucido e tagliente come una spada, e fino alla morte ripensò a questo contatto dubitando, soffrendo, perfino autoaccusandosi di menzogna. Lei cercava altro, e le fu dato: la nudità del Dio al di là dell’Essere.

Il vescovo di Mostar tenta un mystical profiling: la donna che trema, che ride, che si fa toccare le membra, che si nasconde, ecco: questa donna non sembra corrispondere al profilo della Vergine Maria. Che cos’è dunque? Un gioco magico, tuona il prelato, intendendo screditare. Ma il gioco magico è bellissimo, ed è bellissimo quando Dio fa l’illusionista e gioca con le forme da lui stesso inabitate per potersi, nel rivelarsi così, nascondere ancora.


Nel frattempo questa vicenda creerà un grattacapo al Papa. Il quale, prima di addormentarsi, scriverà un biglietto con scritto ‘Medjugorje’ e lo infilerà sotto la statua di San Giuseppe che dorme, e lui, abitante dell’intermondo esattamente come la Vergine che ride , troverà il modo di occuparsene.


1 commento:

  1. Ignoravo che Teresa di Lisieux avesse goduto di un apparizione guaritrice della Madonna.

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